RESUMEN
Cien años después de la entrada en vigor de la Constitución austríaca en 1920, esta obra tiene por objeto, en primer lugar, poner de relieve tanto la novedad que representa la justicia constitucional, en comparación con las formas anteriores de control de la constitucionalidad, como las transformaciones que ha experimentado el «modelo» austríaco durante su circulación en Europa y en América Latina. Posteriormente, se examina con mayor profundidad el papel diferente que desempeñan los tribunales constitucionales tanto en las fases posteriores a una ruptura constitucional o durante una transición democrática como en los períodos de democracia «madura». En ambos contextos se intenta poner de relieve las técnicas interpretativas utilizadas por los tribunales constitucionales para armonizar los valores constitucionales con la sociedad y dialogar con los demás poderes del Estado. Por último, se subraya la creciente participación de los jueces constitucionales en la resolución de cuestiones de importancia política e institucional.
Palabras clave: Justicia constitucional; derecho constitucional comparado; la interpretación judicial.
ABSTRACT
One hundred years after the entry into force of the Austrian Constitution in 1920, this work aims, first of all, to highlight both the novelty of constitutional justice in comparison with previous forms of control of constitutionality, and the transformations that the Austrian «model» has undergone during its circulation in Europe and in Latin America. Subsequently, the different role played by the Constitutional Courts both in the phases following a constitutional rupture or during a democratic transition, and in periods of «mature» democracy is examined in greater depth. In both contexts, an attempt is made to highlight the interpretative techniques used by the Constitutional Courts to harmonize constitutional values with society and to engage in dialogue with Parliament and Judges. Finally, the growing involvement of constitutional Court in resolving issues of political and institutional importance is highlighted.
Keywords: Constitutional Justice; Comparative constitutional law; Judicial interpretation.
Cento anni fa, la Costituzione federale della Repubblica d’Austria, istituendo un’ Alta Corte costituzionale, ha previsto all’art. 140 un nuovo organo la cui esperienza darà vita a un nuovo tipo di sindacato di costituzionalità, contrapposto alle preesistenti forme di judicial review e di controllo «politico» della Costituzione. Queste pagine si propongono di approfondire la specificità delle forme di giustizia costituzionale originate dal prototipo “austriaco” e la sua diffusione in America latina; nonché di individuare alcune problematiche che i Tribunali costituzionali hanno dovuto affrontare in questi ultimi anni.
A tal fine è necessario sviluppare una comparazione che avvenga sia sul piano diacronico, che su quello degli ambiti geografici coinvolti dalla circolazione giuridica dell’istituto: si tratta di un obiettivo che, a nostro avviso, possiede una validità metodologica in quanto i sistemi giuridici dei continenti europeo e americano, nonostante le evidenti peculiarità, appartengono alla medesima “famiglia giuridica”, in quanto la loro evoluzione ha fatto riferimento ai principi del costituzionalismo elaborati dalle rivoluzioni liberali del secolo XIX[1].
Tuttavia, non va trascurato che queste esperienze, pur possedendo un’unitarietà’ di
fondo, si sono sviluppate lungo percorsi distinti, dando vita a tradizioni costituzionali
diverse: è indubbio che il continente americano abbia affrontato, nel tempo, il tema
dei modi di tutela e garanzia della Costituzione secondo un percorso originale, che
ha indotto un’autorevole dottrina a sostenere che l’ “Europa es la matriz, pero Amèrica
latina es una realidad propia” Così: Sulle influenze culturali del costituzionalismo in América Latina:
Nel corso del secolo xix fu preminente l’attrazione esercitata dal pensiero giuridico francese e dalla sua variante spagnola.
In Francia, non si negava che la legge potesse essere ingiusta o lesiva dei diritti
individuali, ma si escludeva che tale vulnus potesse essere sanato dall’ordine giudiziario, la cui funzione doveva consistere nel
dare attuazione alla volontà del legislatore: i giudici dovevano essere la “bocca”
attraverso cui parla la legge. Di conseguenza, il compito di assicurare il rispetto
della Costituzione doveva essere attribuito —in ossequio al principio della sovranità
nazionale— a un organo politicamente rappresentativo, se non direttamente al corpo
elettorale cui era stato inizialmente riconosciuta la competenza di esercitare una
censura sulle leggi Ad esempio, l’art. 27 della Costituzione francese del 1793 (mai entrata in vigore)
riconosceva il diritto di censura contro tutte le leggi e qualsiasi atto del legislatore
contrario alla Costituzione.
Tale organo, individuato da Sieyès, avrebbe dovuto essere costituito da 108 membri
di derivazione parlamentare che, annualmente, si rinnovavano per un terzo attraverso
cooptazione. Tra le sue competenze vi era quella di presentare periodicamente delle
proposte di riforma della Costituzione e, soprattutto, di assicurare la tutela dei
diritti lesi dal legislatore. In dottrina:
In Spagna, la Costituzione di Bayona del 1808 riservava al Senato la competenza di “velar sobre la conservación de la
libertad individual y de la libertad de la imprenta” Art. 39. Artt. 372 e 373. Artt. 359 e 360 facenti parte del Titolo X dedicato a “Osservanza della Costituzione
e del modo di procedere per farvi de’ cangiamenti”.
Mentre l’art. 70 del progetto di Costituzione federale della Prima Repubblica spagnola
del 1873 individuò nuovamente nel Senato l’organo che avrebbe dovuto sospendere, per
un periodo di tre anni, la promulgazione delle leggi ritenute lesive dei diritti fondamentali
In Germania, il titolo V della Costituzione dell’Impero del 1849 riservava a un organo
apposito —il Tribunale dell’Impero— la giurisdizione sulle controversie costituzionali,
sui ricorsi dei cittadini contro violazioni dei diritti riconosciuti dalla Costituzione
imperiale o contro violazioni della Costituzione di un Land Art. 126 della Costituzione dell’Impero tedesco del 1849. In dottrina: Art. 21 della Costituzione del Belgio del 1831.
In América Latina, infine, l’influenza delle Carte costituzionali spagnole condizionò
in misura predominante il periodo successivo alla crisi coloniale: infatti, le Costituzioni
del periodo dell’Indipendenza, pur richiamandosi ai canoni del costituzionalismo liberale,
evidenziano un’ampia circolazione di soluzioni costituzionali in cui elementi propri
della cultura americana si fondano con istituti della tradizione spagnola
Emblematica è l’esperienza degli Stati Uniti del Messico, che si segnala per la varietà
dei riferimenti e delle soluzioni adottate nel tempo. Se nel Decreto costituzionale para la libertà de la America Medicina del 22 ottobre 1814 il difensore della Costituzione fu individuato nella figura del
Supremo Odierno cui competeva proteggere i diritti di libertà, proprietà, eguaglianza e sicurezza Art. 165. Art. 38.
Successivamente, la Legge costituzionale del 1836 istituì un “Supremo Poder Conservador”
che, ispirandosi al Senato francese, aveva il compito, tra l’altro, di dichiarare
la nullità di una legge o di un decreto per violazione di un articolo specifico della
Costituzione nei due mesi successivi alla sua adozione Art. 12.
Altri ordinamenti dell’America latina si sono inizialmente ispirati al “fascino discreto”
della tradizione spagnola: la competenza a garantire il rispetto delle disposizioni
costituzionale fu attribuita, di volta in volta, a organi consultivi come il Consiglio
di Stato (la Costituzione ecuadoriana del 1851), a organi interni al potere legislativo
(la Costituzione politica della Bolivia del 1826, della Costa Rica del 1821, del Brasile
del 1824, del Perù del 1823). Mentre la Costituzione boliviana del 1826, su influenza
del pensiero di Simón Bolívar, istituì una “Camera dei censori” con il duplice compito
di controllare il rispetto della Costituzione, delle leggi, dei Trattati internazionali,
nonché di esercitare l’accusa innanzi al Senato in caso di violazioni del diritto Art. 50. In merito al pensiero costituzionale di Simón Bolívar si veda:
Facendo riferimento alle esperienze di giustizia costituzionale ancora attive in America latina, è necessario premettere che esse hanno registrato nel tempo una duplice mutazione. Prima, nella seconda metà del secolo XIX, alcuni ordinamenti superarono le iniziali procedure di controllo politico della conformità alla Costituzione degli atti pubblici, optando per sistemi di judicial review di ispirazione nordamericana: come nel caso, ad esempio, del Messico, dell’Argentina, del Brasile, del Venezuela e di Cuba.
In Messico, con l’approvazione della Costituzione del 1857 i Tribunali della Federazione
e la Corte Suprema in via di appello hanno acquisito la competenza a decidere su ogni
controversia che nasca da un contenzioso inerente ad atti legislativi o di qualsiasi
altra autorità pubblica che violino la garanzie individuali (art. 101), oppure che
sorga da un conflitto di competenza tra gli Stati o tra questi e la Federazione (art.
98)
Con riferimento al Brasile, si può richiamare l’art. 59 della Costituzione del 1891
che riservò al Tribunale federale la competenza a decidere su ricorsi che contestavano
la compatibilità con la Costituzione federale delle leggi e degli atti dei Governi
statali. A Cuba, la prima Costituzione repubblicana del 1901 ha codificato il principio
che la difesa delle norme costituzionali compete al potere giudiziario sulla base
di una controversia tra le parti che può essere sollevata (come ricorso di appello)
innanzi al Tribunale Supremo, che decide con sentenza aventi effetti erga omnes Art. 83. Si veda per riferimenti generali: Va, tuttavia, segnalato, che sull’originario ceppo di influenza nordamericana si sono
innestate altre competenze proprie della tradizione latinoamericana: tra tutti i ricorsi
diretti a tutela dei diritti costituzionali, i ricorsi di gruppo a tutela degli interessi
diffusi, le azioni popolari e i ricorsi contro le omissioni del legislatore. Per riferimenti
dottrinali su tali esperienze, mi sia consentito rinviare a:
Una seconda modificazione nel modo di garantire la regolarità costituzionale all’interno
di un ordinamento si ebbe nella seconda metà del secolo XX, allorché iniziarono a
diffondersi anche sistemi accentrati di giustizia costituzionale che, sulla scia della
brevissima esperienza del Tribunale di garanzie costituzionali e sociali di Cuba,
sperimentarono forme astratte di controllo di costituzionalità. Attualmente, quindi,
continente latinoamericano si caratterizza per un articolato patchwork di soluzioni costituzionali in materia di controllo di costituzionalità, che rappresentano
per il comparatista un vero laboratorio di formule costituzionali Sulle caratteristiche generali della giustizia costituzionale in America latina:
Nel corso del secolo XX il controllo politico della Costituzione divenne recessivo
e fu utilizzato, comunque, non in alternativa, ma come strumento complementare alla
giustizia costituzionale E’ il caso, ad esempio, degli ordinamenti in cui organi interni al Parlamento esprimono
un parere vincolante sulla conformità alla Costituzione delle proposte di legge ovvero
si riconosce al Capo dello Stato la facoltà di non promulgare una legge in caso di
dubbia costituzionalità.
In Austria, ancora nel 1867 la legge fondamentale sul Potere giudiziario precisava all’art. 7 che i giudici non hanno competenza a giudicare sulla validità delle leggi regolarmente promulgate, ma solo sulla validità dei regolamenti nel corso dei processi; inoltre, ribadiva il criterio che i conflitti normativi dovessero essere risolti in via preventiva, anteriormente alla loro pubblicazione. In questo contesto legislativo si è inserita la proposta di Georg Jellinek il quale, nel volume Una Corte costituzionale per l’Austria pubblicato nel 1885, ipotizzò l’istituzione di un giudice costituzionale competente a esercitare le funzioni di natura sostanzialmente giurisdizionale esercitate in precedenza dalle autorità amministrative (a proposito dei conflitti di competenza) e dalle Camere (in tema di conflitti tra legislazione ordinaria e costituzionale, tra Reich e Länder, di giudizi sulla regolarità delle elezioni).
L’ Autore escluse la possibilità di attribuire ai giudici un sindacato diffuso, in quanto ritenuto poco coerente con il principio della certezza del diritto, preferendo affidare le competenze di cui sopra a un Tribunale già esistente: tale organo fu individuato nel Tribunale dell’Impero che, istituito nel 1867, esercitava alcune competenze di rilevanza costituzionale come i conflitti di competenza e i ricorsi dei cittadini a tutela dei diritti politici.
Un’ulteriore tappa nel lento processo di messa a fuoco del controllo accentrato di costituzionalità si ebbe nel 1919 allorché, in sede di dibattito costituente, fu proposto che il Tribunale costituzionale assorbisse le competenze del Tribunale dell’Impero; mentre, pochi mesi dopo, nel febbraio 1920, Kelsen caldeggiò sia il superamento del principio secondo cui i controlli debbano essere preventivi alla pubblicazione degli atti normativi, sia l’attribuzione alla Corte costituzionale della competenza a giudicare le leggi statali che, all’atto della loro applicazione, appaiono in contrasto con le disposizioni della Costituzione. Ad avviso di tale Autore inoltre, le sentenze dovevano produrre effetti non retroattivi, ma exnunc.
Successivamente, una proposta presentata dal Land del Tirolo si prefisse di superare il disallineamento esistente tra il controllo delle leggi federali e di quelle dei Länder, riconoscendo una “parità delle armi” tra i livelli istituzionali, ammettendo la possibilità di un controllo successivo sulle leggi federali da presentare entro 14 giorni dalla loro promulgazione. Da ultimo, in sede di discussione del progetto di Costituzione, il controllo di costituzionalità divenne un istituto generale finalizzato ad affermare la primazia delle norme costituzionali sulle altre fonti: la legge poteva essere impugnata per dubbio di costituzionalità sia ante che post la sua pubblicazione e la Corte divenne, a pieno titolo, un guardiano oggettivo della Costituzione.
Il modello “austriaco” si perfeziona, infine, con altre due integrazioni che, da un
lato, consentono alla Corte di fissare la data a partire dalla quale le norme incostituzionali
non sono più applicabili; dall’altro lato, riconoscono il potere dei giudici di disapplicare
le norme dichiarate incostituzionali ai sensi dell’art. 140 della Legge costituzionale
austriaca del 1920 A proposito del c. d. “modello” austriaco:
Due importanti esperienze, introdotte in ambiti culturali differenti, hanno costituito un ponte tra il giudice costituzionale del 1920 e i Tribunali che si affermarono nella seconda metà del XX secolo, prima nel vecchio continente e, poi, in America latina: si tratta del Tribunal de garantías constitucionales della Seconda Republica spagnola del 1931 e del Tribunal de garantías constitucionales y sociales previsto dalla Constituzione di Cuba del 1940.
Il primo organo ha rappresentato la prima effettiva esperienza di giurisdizione costituzionale
in Spagna: è interessante evidenziare come nell’iter istitutivo si sia passati da un’ipotesi di controllo politico alla scelta di un sistema
che si ispirava alla Costituzione austriaca del 1820
Successivamente, la stesura finale della Costituzione del 1931 e la successiva la
legge organica del 1933 non solo riconobbero la competenza dei giudici a presentare
un ricorso di incostituzionalità delle leggi Art. 100 Costituzione del 1931. Art. 123 Costituzione del 1931.
I costituenti repubblicani non disconobbero l’importanza di introdurre un meccanismo
a difesa dei nuovi principi affermati dalla Repubblica spagnola, ma nel medesimo tempo
manifestarono —tanto in fase di elaborazione del testo costituzionale quanto nell’iter di approvazione della Costituzione— il timore che un’opzione netta a favore della
judicial review potesse “mettere nella mani dei giudici” il potere di frenare lo sviluppo di una legislazione
sociale che il governo repubblicano intendeva perseguire. La soluzione più idonea
fu, quindi, rinvenuta nella coetanea esperienza del Tribunale costituzionale austriaco,
facilitata sul piano culturale dalla buona conoscenza della dottrina di lingua tedesca
da parte di diversi, influenti componenti le Cortes constituyentes Bassols Coma, 33.
Nel contesto americano, invece, va segnalata la breve esperienza a Cuba del Tribunal de garantías constitucionales y Sociales che, per quanto poco studiata nel continente europeo, appare di interesse per il comparatista, in quanto costituisce un esempio di ibrido tra judicial review e controllo astratto di costituzionalità.
La peculiare storia politica e giuridica dell’isola caraibica ha favorito la nascita
di un esperimento che ha esercitato una significativa attrazione all’interno del costituzionalismo
dell’America latina, realizzando un “ponte” tra i sistemi concreti (tramite la competenza
a decidere sui ricorsi di amparo e a esercitare un giudizio di appello avverso le decisioni di habeas corpus) e quelli astratti (in virtù del controllo di costituzionalità delle norme e dei
provvedimenti dei pubblici poteri, che poteva essere attivato sia con ricorso diretto,
sia in virtù di una questione di legittimità prospettata da un giudice) Vedi:
Come affermato da García Balunde l’esperienza cubana del 1949 si presenta come il
tentativo di dar vita in America latina un tipo di giustizia costituzionale concentrata,
attraverso la creazione all’interno del Tribunal Supremo di una Sala costituzionale
Il riferimento all’esperienza austrica da parte di molti ordinamenti dell’ America
latina fu mediato dal processo di ibridazione che tale sistema subì nel corso delle
successive ondate costituenti che interessarono l’Europa: il controllo accentrato
dapprima ispirò le Costituzioni italiana (1948) e della Repubblica federale tedesca
(
In Italia, il controllo di costituzionalità, una volta entrato in funzione, ha accentuato
progressivamente i profili di concretezza del giudizio costituzionale attraverso l’introduzione
di punti di contatto tra sistemi accentrati e diffusi, tra modelli astratti e concreti.
Infatti, l’organo competente a decidere è unico (come nel prototipo austriaco), però
ciascun giudice può partecipare al processo costituzionale (come nella judicial review); inoltre, lo stretto legame che unisce la decisione della Corte al “caso” che ha
generato il processo si associa alla natura “astratta” del giudizio finale, dal momento
che il processo è comunque finalizzato a espellere dal diritto positivo, con decisioni
aventi valore erga omnes, le norme contrarie alla Costituzione
Nella Repubblica federale di Germania i costituenti innovarono rispetto alla tradizione
tedesca del secolo xix che aveva optato per un controllo di costituzionalità di natura non giurisdizionale La Costituzione del secondo Reich del 1871, ad esempio, affidava la competenza in
materia di controversie costituzionali al Bundesrat, mentre la competenza a giudicare la conformità del diritto statale a quello federale
era affidata al Reichsgericht. Vedi: Jellinek, 2013.
In Spagna, poi, la Costituzione democratica del 1978 rompe con una tradizione che aveva attribuito la competenza a vegliare sul rispetto della Costituzione, di volta in volta, al Parlamento (Costituzione di Cadice), al Senato (progetto di Costituzione federale del 1873), al Consiglio del Regno (Anteprogetto della Costituzione monarchica del 1929): i costituenti furono, infatti, favorevoli ad allineare la natura e le competenze del Tribunal Constitucional alle esperienze italiana e della Repubblica federale di Germania, piuttosto che del Tribunale sulle garanzie costituzionali della Seconda Repubblica.
Uno dei caratteri più evidenti del sistema spagnolo di giustizia costituzionale è
individuabile nell’ampiezza delle attribuzioni assegnate al Tribunale, al punto che
uno dei più autorevoli giuristi lo qualificò come “la justicia constitucional más
amplia que existe sobre la tierra” Per quanto riguarda la prima dottrina italiana relativa al Tribunale costituzionale
spagnolo si veda: Rolla, 1986.
Gli esempi sopra richiamati testimoniano esperienze in cui l’attivazione di forme
“ibride” di giustizia costituzionale è avvenuta immediatamente dopo l’entrata in vigore
di ordinamenti democratici, ispirati allo Stato sociale di diritto: mentre in altri
paesi l’introduzione di forme di giustizia è concretizzata con ritardo, dopo aver
superato diverse perplessità: è il caso, ad esempio, della Francia, del Belgio e del
Portogallo Sul difficile percorso della giustizia costituzionale in Francia: Con riferimento al Belgio:
Lo stretto legame tra giustizia costituzionale e carattere democratico della forma di Stato caratterizza anche la realtà dell’America latina, dal momento che l’istituzione di Tribunali costituzionali ispirati alle esperienze europee ha il suo pieno sviluppo nella fase del c. d. nuovo costituzionalismo latino americano, con la crisi di sistemi autoritari e l’affermazione di ordinamenti democratici, ispirati allo Stato sociale di diritto. Siffatta coincidenza non è casuale in quanto evidenzia il legame che unisce tre caratteristiche del costituzionalismo contemporaneo come il principio di legalità, la garanzia dei diritti fondamentali e la giustizia costituzionale.
L’accentramento dell’esercizio della giustizia costituzionale si è realizzato in America latina sostanzialmente in tre modi: riservando tale competenza alla Corte Suprema nel suo pleno, a una sua Sala constitucional o istituendo un apposito Tribunale costituzionale esterno al potere giudiziario.
La prima soluzione fu adottata, ad esempio, in Venezuela ove il pleno della Corte Suprema de Justicia esercita un controllo oggettivo sulla costituzionalità delle leggi e degli atti aventi
forza di legge attraverso una acción popular e intemporal, mentre le Salas de Casación Civil o Penal decidono come giudici di ultima istanza in materia di inapplicazione nei casi concreti
delle leggi e degli atti con forza di legge lesivi dei diritti costituzionali. Anche
in Messico la revisione costituzionale del 1994 ha attribuito alla Suprema Corte de Justicia de la Nación en pleno la competenza di dichiarare con effetto generale la perdita di vigenza degli atti
normativi di carattere generale attraverso una sentenza adottata a maggioranza qualificata
(art. 105. II) Occorre il voto di almeno 8 componenti su 11.
A Panama, la Corte Suprema de Justicia esercita un controllo di costituzionalità avente a oggetto non solo le leggi e gli atti aventi forza normativa, ma anche gli atti amministrativi con effetti nei confronti dei singoli; mentre in Uruguay la Costituzione del 1989 assegna alla Corte Suprema de Justicia la giurisdizione esclusiva per dichiarare l’incostituzionalità delle leggi e degli atti aventi forza di legge per vizi sia sostanziali che formali (art. 256).
Altri ordinamenti latinoamericani hanno optato, invece, per un controllo accentrato esercitato da una Sala specializzata della Corte Suprema de Justicia.
In Colombia l’affidamento a un giudice speciale del controllo di costituzionalità è piuttosto recente e l’evoluzione del sistema ha seguito un percorso poco lineare. Dapprima la Costituzione del 1886 attribuì alla Corte Suprema di Giustizia una competenza di natura preventiva sui progetti di legge del Parlamento; mentre, nell’anno successivo, fu escluso ogni sindacato successivo disponendo —con la legge n.153 del 1887— che ogni disposizione di legge successiva alla Costituzione deve essere applicata “aun cuando parezca contraria a la Constitución”. Inoltre, la riforma costituzionale del 1910, nel mentre ha riconosciuto ai cittadini il diritto di presentare un’azione di incostituzionalità avverso leggi e decreti ritenuti contrari alla Costituzione, ha rotto l’unitarietà del controllo di costituzionalità riservando alla giurisdizione amministrativa la competenza a decidere sulla costituzionalità dei decreti non aventi forza di legge.
Soltanto nel 1968 un’ulteriore riforma costituzionale ha istituito all’interno della
Corte Suprema una Sala costituzionale con una limitata competenza di natura istruttoria (predisporre una
bozza di decisione da sottoporre alla valutazione dal plenum della Corte); mentre la Costituzione del 1999 ha introdotto due novità importanti:
la prima assegna a tutti i giudici il compito “de adecuar la integridad de la Constitución
en el ámbito de sus respectivas competencias” (art. 334) e di decidere sui ricorsi
di amparo a tutela dei diritti e delle garanzie costituzionali (art. 27). La seconda, a sua
volta, qualifica la Sala constitucional come”máximo y último intérprete de la Constitución” con l’obiettivo di assicurare
una “uniforme interpretación y aplicación” della stessa (art. 335)
In Costa Rica, la Sala Constitucional de la Corte Suprema de Justicia dichiara la incostituzionalità di tutti gli atti normativi dello Stato —compresi quelli
dei privati che esercitano funzioni pubbliche— che violano, por acción u omisión, le norme e i principi costituzionali (art. 73, Ley de la Jurisdicción Constitucional
de 1989): sono, tuttavia, esclusi dal sindacato gli atti giurisdizionali del potere
giudiziario
Infine, in Salvador, la Sala costituzionale della Corte Suprema de Justicia esercita il controllo accentrato di costituzionalità in virtù di una triplice competenza: decidere sui ricorsi di incostituzionalità presentati dai cittadini nei confronti delle leggi, degli atti aventi forza di legge e dei regolamenti; risolvere i ricorsi di amparo per violazione dei diritti costituzionali e quelli di habeas corpus contro ogni restrizione illegale della libertà personale sollevati da qualsiasi individuo.
Tuttavia, la Sala costituzionale non è l’unico organo di giustizia costituzionale: infatti il suo controllo
accentrato è accompagnato dalla competenza dei Tribunali della Repubblica di disapplicare,
nei casi concreti sottoposti alla loro giurisdizione, norme contrarie alle disposizioni
costituzionali; così come i Tribunali di seconda istanza possono risolvere i ricorsi
di habeas corpus
Le soluzioni precedentemente individuate hanno cercato di innestare il controllo accentrato
di costituzionalità all’interno della tradizione giuridica del continente latinoamericano,
dando vita ad un sistema misto; altri ordinamenti, invece, hanno preferito istituire
un organo exnovo esterno al potere giurisdizionale, specificamente preposto a “la última salvaguarda
de los valores y principios constitucionales frente a los poderes constituidos actuando
siempre desde criterios y parámetros jurídicos”
Questa innovazione —introdotta in Bolivia, in Ecuador, in Cile, in Perù— ha prodotto una soluzione di continuità nella storia latinoamericana dei controlli costituzionali.
Nel periodo dell’Indipendenza, l’ordinamento boliviano, su influenza del pensiero
liberale francese, aveva individuato nel Consiglio di Stato l’organo competente a
esercitare il sindacato di costituzionalità; successivamente (dal 1861 al 1994) si
consolidò un forma di judicial review che aveva la sua cuspide nel ruolo della Corte suprema di Giustizia, finché successivamente
si optò per un controllo concentrato esercitato da un Tribunale costituzionale. In
particolare, la Costituzione del 2009 ha qualificato l’attività del Tribunale costituzionale
plurinazionale come “predominantemente concentrado y plural de constitucionalidad”:
infatti, in base all’art. 196 Cost. questo organo possiede il monopolio nell’annullamento
delle norme infracostituzionali incompatibili con la Carta costituzionale Non solo le leggi, ma anche gli statuti di autonomia, le leggi organiche, i decreti
e tutte le decisioni di natura non giudiziale Vedi, gli Artt. 72 e 73 del Código Procesal Constitucional del 2012.
Anche in Ecuador le prime Carte costituzionali avevano individuato nel Consiglio di Stato l’organo competente a velar por el respeto de la Costitución, segnalando —di volta in volta— le possibili violazioni all’Asamblea Nacional (1851), al Potere esecutivo o ai Tribunali (1906). Inoltre, in seguito alla riforma costituzionale del 1919, il Consiglio di Stato esercitò anche un controllo preventivo nel corso dell’iter legis. Successivamente, con la Costituzione del 1945, il controllo di costituzionalità fu affidato a un organismo specializzato —il Tribunal de Garantías Constitucionales— non pienamente autonomo dal potere politico, che poteva formulare osservazioni sui progetti di legge, nonché sospendere (su richiesta di giudici di ultima istanza) la vigenza di atti normativi con una decisione che, tuttavia, non era definitiva dal momento doveva essere confermata dal Congresso Nazionale.
Soltanto con la riforma costituzionale del 1996 fu istituito un Tribunale costituzionale,
al cui interno la competenza è ripartita tre Salas —competenti rispettivamente in materia di habeas corpus, di habeas data e di controllo di costituzionalità degli atti amministrativi—, mentre al plenum è riservato il controllo delle leggi e degli atti di legge, la risoluzione dei conflitti
di competenza insorti tra gli organi costituzionali, nonché la possibilità di presentare
proposte di riforma della Costituzione
In Cile, anteriormente al colpo di Stato dell’11 settembre 1973, il Tribunale costituzionale era concepito eminentemente come organo di meDíazione politica: il suo compito principale consisteva nel giudicare la costituzionalità dei decreti legge, risolvere i conflitti tra legislativo ed esecutivo inerenti all’interpretazione del testo costituzionale o nel verificare la legittimità del potere del Presidente della Repubblica di indire un plebiscito o di sciogliere il Congreso. La Costituzione del 1980 accentuò la natura politica del controllo costituzionale, esercitando —ad esempio— un controllo preventivo sulle leggi, su atti politicamente rilevanti del Presidente della Repubblica e dichiarando l’incostituzionalità di movimenti o partiti politici.
Inoltre —anteriormente alle successive revisioni costituzionali— la Costituzione aveva
prodotto una sorta di “disseminazione” della funzione di garanzia costituzionale,
in coerenza con la previsione dell’art. 6 Cost. secondo “cui los órganos del Estado
deben someter su acción a la Constitución y a las normas dictadas conforme a ella” Basti considerare che la Corte suprema, d’ufficio o su ricorso di parte, poteva dichiarare
inapplicabili ai casi concreti le norme di legge contrarie alla Costituzione (art.
80 cost.); mentre, a sua volta, la Contraloría general de la República esercitava il controllo di costituzionalità sui decreti legge e sugli atti dell’amministrazione,
e controllava la legalità dell’azione amministrativa (art. 88 cost.). I problemi
di costituzionalità relativi alla materia elettorale rientravano, invece, nella competenza
del Tribunal Calificador de Elecciones (art. 84).
Solo con la riforma costituzionale del 2005 si delinea un più coerente sistema di
giustizia costituzionale che, da un lato, ha accentrato nel Tribunale costituzionale
la pienezza delle competenze in materia di costituzionalità delle leggi (sia preventive
che successive) e, dall’altro lato, ha trasferito a questo organo alcune attribuzioni
in precedenza riservate alla Corte Suprema (tra cui i conflitti di competenza tra
le autorità amministrative e giurisdizionali) Sulla giustizia costituzionale in Cile:
Anche in Perù, il riconoscimento della supremazia della Costituzione nei confronti delle altre fonti del diritto avvenne con un significativo ritardo: i documenti costituzionali del 1860, del 1867 e del 1920 non avevano esplicitamente collocato le norme costituzionali al vertice del sistema delle fonti del diritto; inoltre, la Costituzione del 1933 optò —in controtendenza con altri ordinamenti dell’America latina— per un tradizionale meccanismi di difesa politica della Costituzione, secondo il quale le eventuali infrazioni potevano essere denunciate davanti al Congresso.
Soltanto nella Costituzione del 1979 fu introdotto un Tribunal de Garantías Constitucionales, ma la mancanza di un’adeguata tradizione giuridica influì negativamente sull’operato di questo organo: esso non solo non riuscì a emanciparsi dai legami di dipendenza dagli organi politici, ma produsse anche una giurisprudenza del tutto inefficace dal momento che il plenum, nell’affrontare questioni di particolare rilevanza istituzionale, non sempre conseguì il quorum necessario. Infine, con il colpo di Stato del 1992 il Tribunal de Garantías Constitucionales venne sciolto.
Anche l’esperienza del Tribunale costituzionale, istituito nel 1993, si rivelò tribolata,
poiché tale organo si trovò inizialmente nell’impossibilità di funzionare con regolarità
a causa sia del ritardo con cui fu approvata la Legge organica sul Tribunale costituzionale
(1995), sia dell’impossibilità di decidere con il plenum dei suoi componenti Se nel 1996 furono nominati dal Congresso i sette giudici costituzionali, nell’anno
successivo tre magistrati vennero destituiti impedendo così al Tribunale di esercitare
il controllo sulle leggi. Soltanto nel 2000, con il ritorno alla democrazia, si è
avuta la reintegrazione dei tre magistrati mancanti.
In materia si veda:
A conclusione di questo paragrafo non si può trascurare l’impostante trasformazione
che ha interessato il ruolo della Corte Suprema del Messico. Essa con la sua giurisprudenza
ha fatto compiere all’ordinamento costituzionale messicano un salto di qualità nel
processo di integrazione all’interno del sistema interamericano di garanzia dei diritti
fondamentali, aprendosi a una prospettiva multilivello A conferma di questa valutazione si può richiamare che il premio per i Diritti Umani
dell’ONU per l’anno 2013 fu assegnato alla Suprema Corte de Justicia de la Nación con la seguente motivazione: “Esta Corte ha logrado importantes progresos en la promoción
de los derechos humanos a través de sus interpretaciones y de la aplicación de la
Constitución mexicana y sus obligaciones bajo el derecho internacional de los derechos
humanos asimismo ha fijado importantes estándar de derechos humanos para México y
la región latinoamericana”.
In dottrina: Comprendendo anche le norme generali, le omissioni e gli atti nono solo delle autorità
pubbliche, ma anche dei privati che agiscono in modo autoritativo, esercitando una
funzione prevista dalla legge. In dottrina: Ferrer Mac-Gregor y Sánchez Gil, 2013;
Nello stesso tempo, la Corte Suprema, agendo in sintonia con il legislatore, ha posto
le basi per rideterminare il “modello” messicano di controllo di costituzionalità,
al punto che in dottrina si è sviluppato il dibattito se la Corte Suprema si sia trasformata
progressivamente in un Tribunale costituzionale ovvero conservi ancora la sua posizione
di cuspide del sistema giudiziario ordinario. Il Tribunale costituzionale, sotto il
profilo formale, è un organo esterno sia al potere legislativo che a quello giurisdizionale,
autonomo e fornito di spiccati requisiti di imparzialità e di professionalità; inoltre
il suo procedimento possiede delle peculiarità connesse alla specificità del giudizio
che lo differenziano dalla giurisdizione ordinaria. Invece, i profili sostanziali
di tale organo possono essere individuati nella differenza esistente tra sindacato
di legalità (o convenzionalità) e di costituzionalità. Alla luce di queste premesse
si può rispondere all’interrogativo se la Corte Suprema sia o meno un Tribunale costituzionale
indicando che essa (al momento) svolge “compiti analoghi” a quelli di una Corte costituzionale
vera e propri: infatti, alcune competenze sono assimilabili a quelle dei Tribunali
costituzionali, mentre altre sono proprie delle Corti di cassazione come giudici di
ultima istanza sulle questioni di legalità Rientrano tra le prime, soprattutto, il giudizio di amparo in caso di lesione delle garanzie costituzionali; i giudizi costituzionali diretti
di revisione delle sentenze dei tribunali federali; le azioni di costituzionalità
che hanno l’obiettivo generale di preservare la primazia delle norme costituzionali
attraverso un controllo sulla validità di leggi, decreti, regolamenti e trattati internazionali;
le controversie costituzionali con le quali la Corte Suprema, affrontando conflitti
che i soggetti politici non sono stati in grado di comporre, è competente sulle controversie
tra la Federazione, gli Stati e i municipi o l’esecutivo e il Congresso, tra i poteri
delle entità federative e tra gli organi di governo del Distretto federale.
Siffatto avvicinamento a forme di giustizia costituzionale concentrata è avvenuto secondo un percorso a tappe, puntando sull’incremento progressivo dell’istituto dell’amparo e sull’ ampiamento delle funzioni della Corte Suprema: nel primo caso, è stato rilevante sia il consolidamento del principio secondo cui i ricorsi potevano avere a oggetto anche le sentenze giudiziali, sia il riconoscimento che il juicio de amparo potesse avvenire anche nei confronti delle leggi e delle fonti primarie lesive di diritti costituzionali. Con riferimento all’aumento delle competenze in materia costituzionale della Corte Suprema, le riforme costituzionali del 2011-2003 hanno rafforzato una tendenza favorevole all’introduzione di procedimenti di controllo astratto e concentrato, dando vita a un sistema “misto” che opera secondo due livelli autonomi e separati, che funzionano parallelamente.
In ambito statale il potere giudiziario esercita un controllo di convenzionalità exofficio per verificare se la normativa nazionale sia compatibile con la Costituzione federale
e le norme internazionali così come interpretate dalla Corte Interamericana. L’ambito
federale, invece, si caratterizza per un controllo accentrato esercitato dal Poder Judicial della Federazione cui si ricorre in via diretta attraverso le azioni di incostituzionalità,
le controversie costituzionali e gli amparo. Si introduce, quindi, un sistema che si basa sulla convivenza tra un sindacato concentrato
e uno diffuso che agiscono parallelamente; anche se, in caso di contrasto, compete
alla Corte Suprema determinare quale sia l’interpretazione costituzionalmente corretta
Un impulso decisivo nel caratterizzare le funzioni della Corte Suprema come materialmente
costituzionali si è avuto, dapprima, in seguito alla creazione dei Tribunales Colegiados de Circuito, che si era resa necessaria per “liberare” l’attività della Corte dal crescente numero
dei ricorsi di amparo; quindi, a causa di un deciso ampliamento delle loro attribuzioni in materia di controllo
di legalità e di fonti secondarie: il che ha consentito alla Corte Suprema di concentrarsi
sui profili di costituzionalità e le questioni di maggior “trascendencia”
Siffatta evoluzione ha sicuramente rafforzato l’idea che il potere giudiziario fosse la miglior garanzia per la salvaguardia della Costituzione e dei diritti fondamentali; così come la giurisprudenza della Corte Suprema ha saputo svolgere un ruolo fondamentale nelle più recenti fasi di cambiamento, orientando un sistema politico e istituzionale si apriva a nuove sfide. Con la sua attività, ha saputo conseguire un consenso attorno al suo ruolo di garante della regolarità costituzionale: in quanto interprete privilegiata della Costituzione può rendere le disposizioni costituzionali un corpo vitale (un living tree) in sintonia con le trasformazioni sociali e del costume.
A partire dalla seconda metà del secolo scorso molti ordinamenti costituzionali sono stati interessati da un processo di democratizzazione in seguito all’approvazione di Costituzioni che hanno segnato un elemento di rottura o di forte discontinuità rispetto al passato.
Alla fine del secondo conflitto mondiale l’Italia e la Germania hanno approvato delle
carte costituzionali accomunate da alcuni caratteri omogenei: la posizione centrale
assegnata al riconoscimento dei diritti fondamentali dell’individuo, il rafforzamento
degli istituti propri dello Stato di diritto, la giustiziabilità di tutti gli atti
delle pubbliche autorità e un controllo di legittimità costituzionale sugli atti normativi.
Inoltre —anche sulla base dell’incapacità manifestata dalla Costituzione di Weimar e dallo Statuto albertino a frenare l’affermazione di regimi totalitari— i due ordinamenti
hanno rafforzato il carattere rigido della Costituzione: sia ponendo limiti materiali
all’attività di revisione costituzionale e strumenti di autodifesa del carattere democratico
dell’ordinamento, sia codificando un netto giudizio di ripulsa nei confronti delle
drammatiche esperienze vissute Come il divieto di riorganizzazione del partito fascista in Italia e la decadenza
dal godimento di alcuni diritti fondamentali per coloro che si propongono di combattere
l’ordinamento fondato sui principi di libertà e di democrazia in Germania.
Differente fu, invece, la transizione costituzionale in Spagna, Portogallo e Grecia,
dove il ritorno alla democrazia avvenne con modalità sostanzialmente pacifiche e pattuite:
in questi paesi l’acquisizione delle libertà fondamentali e la ricostituzione di istituzioni
democratiche si saldarono con la volontà di procedere a un’opera di riconciliazione
nazionale, mentre le varie componenti della società e dello Stato presero parte alla
transizione democratica. In Spagna, l’esercito (tranne alcuni infruttuosi tentativi)
non ostacolò nel complesso il superamento dell’assetto autoritario e tale processo
ebbe anche l’appoggio dell’istituzione monarchica Sulla transizione politica in Spagna, vedi:
Un processo politico simile ha interessato anche il continente americano, determinando
una vera e propria cesura sia rispetto alla fase dell’ indipendenza e al costituzionalismo
liberale, sia soprattutto alla più recente e traumatica storia del continente, contrassegnata
dall’instaurazione di regimi totalitari Basti considerare, a titolo di esempio, il Pacto de los olivos in Argentina, celebrato nel 1993 tra i presidenti delle due forze politiche maggioritarie,
che servì da base per la riforma costituzionale del 1994; l’accordo tra le autorità
governative e i gruppi guerriglieri che favorì la promulgazione della Costituzione
colombiana del 1991 e la revisione costituzionale del 1991 in El Salvador; il patto
tra gli oppositori al governo militare che favorì la riforma costituzionale del 1988
in Brasile. Mentre in Ecuador e in Cile furono i militari gli arbitri del processo
costituente. In Ecuador essi nominarono due commissioni di giuristi con il compito
di elaborare ciascuna una progetto di Costituzione; il corpo elettorale attraverso
un referendum fu chiamato a scegliere tra le due proposte; mentre in Cile la revisione
costituzionale, dopo le dimissioni del dittatore Pinochet, fu attentamente monitorata
dalle istituzioni militari, presenti nei principali organi costituzionali.
In sintesi, pare corretto affermare che le principali codificazioni costituzionali
che si sono succedute a partire dalla seconda metà del secolo xx hanno espresso una visione alternativa rispetto al passato circa i valori che debbono
ispirare la società e ai principi che organizzano il funzionamento dello Stato, proponendosi
di favorire la formazione di un nuovo humus sociale e politico Fa eccezione la transizione costituzionale del Cile dove gli elementi di continuità
tra il regime dittatoriale e il nuovo ordine costituzionale furono molteplici. A proposito
si rinvia a: Rolla, 2001: 576.
Tanto le Costituzioni approvate al termine di una profonda rigenerazione politica e sociale, quanto quelle che hanno concluso una transizione democratica o pactada hanno dovuto “fare i conti” con il proprio passato, anche se questo tema è stato affrontato secondo una prospettiva differente.
Le Costituzioni europee che hanno codificato una netta rottura rispetto al passato hanno manifestato un esplicito rifiuto delle precedenti, drammatiche esperienze totalitarie: si va dalla codificazione dell’improponibilità dei regimi passati (come in Italia ove la Costituzione vieta la ricostituzione del partito fascista e la revisione della forma repubblicana, intesa in senso sostanziale quale formula espressiva dei principi supremi in cui si riconosce l’ordinamento costituzionale italiano), alla codificazione di disposizioni che vietano o impediscono, pur nell’ambito di un ampio riconoscimento del pluralismo politico e della libertà di manifestazione del pensiero, la possibilità di comportamenti propri dei precedenti regimi autoritari (come in Germania, ove l’art. 18 della Legge fondamentale priva del godimento di alcuni diritti fondamentali chi intende abusarne, cioè utilizzarli al fine di combattere una societàà libera e democratica). Inoltre esse hanno dedicato un’attenzione particolare nel rafforzare quei presidi democratici che nel passato erano stati strumentalmente utilizzati per favorire la crisi dei regimi democratici: si pensi, ad esempio, all’attenzione che le Costituzioni hanno dedicato agli istituti che possono consentire una sostanziale garanzia ai diritti fondamentali —che secondo l’art. 19 della Legge fondamentale non possono essere intaccati nel loro contenuto essenziale, mentre l’art. 2 della Costituzione italiana ne sancisce l’inviolabilità—; oppure al significativo rafforzamento degli istituti propri dello Stato di diritto o orientati a rafforzare il carattere rigido della Costituzione.
Nel caso, poi, del neocostituzionalismo latinoamericano il rapporto con il passato
è stato affrontato in una duplice prospettiva. Da un lato, la reazione alle esperienze
dittatoriali è avvenuta migliorando i caratteri democratici e sociali dell’ordinamento,
potenziando i meccanismi di tutela dei diritti fondamentali e ampliando la gamma delle
posizioni soggettive garantite, rafforzando il carattere rigido della Costituzione
e disciplinando le possibilità di esercizio degli stati di eccezione
Dall’altro lato, si è cercato innovativamente di “fare i conti” con il retaggio del colonialismo storico e con i pericoli di nuove forme di colonialismo politico, economico e culturale.
Nell’America latina del xix secolo le élite politiche che promossero i movimenti indipendentistici si impegnarono soprattutto a creare una identità nazionale ispirata ai principi del costituzionalismo liberale; di conseguenza, i documenti costituzionali di quel periodo trascurarono del tutto la peculiarità dei popoli indigeni (ampiamente presenti in tutti i territori) a favore di un’idea di comunità politica omogenea, al cui interno i componenti condividessero la medesima cultura e lingua; inoltre non mancarono nei singoli Stati particolari politiche di repressione e di negazione della presenza indigena.
Un netto salto di qualità nel modo di affrontare la tematica degli inherents rights delle comunità indigene si ebbe alla fine del secolo scorso con i processi di transizione
democratica che caratterizzarono molte realtà dell’America latina. Gli esempi che
si possono fare sono numerosi: la Costituzione del Nicaragua attribuisce alle comunità
della Costa atlantica il diritto a sviluppare la propria identità culturale entro
l’unità nazionale, a esercitare autonome forme di organizzazione sociale, amministrativa
ed economica, a mantenere forme comunitarie di proprietà e di sfruttamento della terra Artt. 89-91. Artt. 62 e 63.
La revisione costituzionale messicana del 2001 definisce, a sua volta, la Nazione
come “pluriculturale”, fondata originalmente dai popoli indigeni che discendono dalle
popolazioni che abitavano il territorio prima della colonizzazione e che ancora conservano
proprie istituzioni sociali, economiche, culturali e politiche Art. 2. La Costituzione della Bolivia riserva un capitolo specifico ai diritti delle nazioni
e dei popoli indigeni, riconoscendo il diritto alla sopravvivenza, all’identità culturale,
alle proprie “creencias religiosas, espiritualidades, prácticas y costumbres, y a
su propia cosmovisión” (art. 30); mentre, l’art. 179 riconosce anche la giurisdizione
speciale indigena esercitata dalle proprie autorità, la cui giurisdizione e effetti
delle decisioni hanno lo stesso valore di quella ordinaria.
La Costituzione del 1998 riconosce i diritti dei popoli indigeni in quanto componenti
di un Stato pluriculturale e multietnico: il diritto a conservare la propria identità
e tradizioni, sviluppare le forme tradzionali di convivenza e organizzazione sociale,
conservare la proprietà imprescrittibile delle terre comunitarie (arts. 83-85); mentre
l’art. 191 riconosce alle autorità indigene l’esercizio della funzione giurisdizionale
nelle forme previste dall’art. 191. A sua volta, la Costituzione del 2008 ridetermina
all’art. 171 le forme di amministrazione della giustizia indigena.
Tuttavia, la disciplina probabilmente più completa è quella della Colombia: tra i diversi articoli della Costituzione che affrontano il tema dell’ identità culturale dei popoli indigeni si possono richiamare l’art. 7 (tutela della diversità etnica e culturale della nazione colombiana), l’art. 10 (riconoscimento dell’ufficialità delle lingue indigene nei rispettivi territori), l’art. 246 (giurisdizione speciale indigena), l’art. 68 (promuove una formazione che sia rispettosa dell’integrità culturale dei popoli), l’art. 171 (riconosce ai popoli indigeni una circoscrizione elettorale specifica in modo da favorire la rappresentanza politica di quei territori), gli Artt. 329 e 330 (affermano il diritto inalienabile alla proprietà collettiva della terra e allo sfruttamento delle risorse presenti nei territori indigeni), l’art. 248 (attribuisce alle entità territoriali indigene autonomia amministrativa e di bilancio), infine l’ art. 246 riconosce l’esercizio di specifiche funzioni giurisdizionali.
Fa eccezione al soprarichiamato orientamento costituzionale l’atteggiamento contrario
assunto dal Cile, dal momento che —pur essendo stata approvata nel 1993 una Ley Indigena— manca in Costituzione un riferimento alla specificità della situazione dei popoli
indigeni e un giudizio negativo nei confronti delle politiche attivate nei confronti
del territorio e delle popolazioni Mapuche E’ noto che nel periodo fra il 1860 e il 1883 il loro territorio fu occupato militarmente,
che i terreni liberati furono messi a disposizione degli investitori stranieri o dei
grandi proprietari, che gli indigeni furono confinati in riserve. Inoltre, durante
il regime militare di Pinchet continuò l’espropriazione e la vendita dei loro territori;
mentre l’esistenza di una questione indigena fu negata secondo l’idea che “No existen
poblaciones indígenas, somos todos chilenos”.
Dare effettività a questi innovative norme costituzionale è stato un compito che i Tribunali costituzionali assunsero con impegno; la loro giurisprudenza ha svolto nel corso di questo secolo un ruolo fondamentale non solo nel tutelare i diritti dei popoli indigeni, ma anche nell’individuare criteri utili a sistematizzare i caratteri essenziali di tali gruppi sociali. In questo contesto, assume —a nostro avviso— particolare importanza l’apporto della giurisprudenza costituzionale della Corte costituzionale della Colombia la quale, attraverso un’ampia giurisprudenza, ha individuato il nucleo essenziale dell’identità culturale delle popolazioni indigene in due elementi: il rapporto con uno specifico ambito territoriale e una visione olistica del mondo.
Essa ha riconosciuto che la diversità etnica e culturale è la proiezione sul piano
giuridico del carattere democratico, pluralista e partecipativo dello Stato e che
i gruppi indigeni si differenziano dalle altre comunità sociali per il fatto che non
si è in presenza “della mera sommatoria di individui singoli accomunati da una serie
di diritti e di interessi diffusi” Sentenza C-063 del 2010.
Altri elementi qualificanti la personalità giuridica delle comunità indigene sono
individuabili nella proprietà collettiva della terra e nella dimensione comunitaria
della vita, che costituiscono elemento integrante della cosmovisione e della religiosità
della comunità indigena Sentenze T 188 del 1993 e C 058 del 1994. Sentenza T-257 del 1993.
Non dissimile è stato l’atteggiamento tenuto dalla Suprema Corte de Justicia del Messico nei confronti di alcuni ricorsi presentati dalla comunità indigena yaquis, la quale rivendicava il diritto a essere previamente ascoltata sui progetti di infrastrutture
che riguardavano il loro territorio. Auto del Tribunale constitucionale peruviano del 20 agosto del 2018.
La giurisprudenza dei Tribunali costituzionali ha messo a fuoco un altro istituto
caratterizzante l’identità culturale delle popolazioni indigene, individuabile nel
valore giuridico della giurisdizione indigena, competente a risolvere i conflitti
interni alle comunità. Si tratta di un sistema giuridico speciale, derogatorio rispetto
a quello ordinario, che si basa su costumi e pratiche ancestrali estranee alla tradizione
giuridica del continente latinoamericano Sentenza T-254 del 1994 Corte costituzionale della Colombia. In particolare, tale giudice ha individuato un limite sostanziale del diritto indigeno
nella Ley Orgánica sobre los Derechos de las Mujeres a una vida Libre de Violencia,
in base alla quale la competenza a decidere nei confronti di una donna è comunque
riservata ai Tribunales de violencia contra la mujer e alla Sala de Casación del Tribunale
Supremo (Sentenza n. 919 del 2014).
I Tribunali costituzionali, una volta entrati in funzione, hanno dovuto dare soluzione
a due esigenze fondamentali: offrire, come interpreti privilegiati del significato
delle disposizioni costituzionali, una visione delle scelte costituenti che sia in
armonia con le trasformazioni sociali e culturali del paese e, contestualmente, acquisire
una salda legittimazione sociale ed istituzionale. Nello stesso tempo, hanno dovuto
realizzare uno spartiacque netto tra le nuove Costituzioni e gli ordinamenti giuridici
precedenti e, a tal fine, hanno sopperito a limiti inerenti alla disciplina della
giustizia costituzionale (come limitatezza delle competenze attribuite ai giudici
costituzionali, scelte restrittive in materia di accesso al processo costituzionale,
inadeguatezza della tipologia delle sentenze) con l’individuazione in via giurisprudenziale
di tecniche interpretative e di metodi decisionali idonei ad allineare la normativa
vigente ai nuovi valori costituzionali e a ridurre lo iato che intercorre tra le norme
costituzionali e l’effettività del sistema normativo vigente. Non sono patrimonio
specifico di singoli ordinamenti, ma hanno avuto la capacità di circolare tanto in
Europa, quanto nella gran parte dei paesi dell’America latina, dando vita a una sorta
di jus commune del diritto processuale costituzionale in fieri Balaunde, 1999: 121;
In primo luogo, i giudici costituzionali hanno affermato la propia competenza ad annullare o a rendere disapplicabili le norme anteriori all’entrata in vigore della Costituzione non compatibili con essa: sul piano istituzionale si trattava di decidere se la competenza a non rendere più applicabile la normativa anteriore alla Costituzione dovesse essere riconosciuta al legislatore, ai giudici comuni o ai Tribunali costituzionali. Con riferimento, invece, alla teoria delle fonti del diritto, il dibattito costituzionale ha ruotato attorno all’interrogativo se dal contrasto normativo scaturisse una dichiarazione di incostituzionalità ovvero un effetto abrogativo: nel primo caso si sarebbe dinanzi a un casso di invalidità in base al principio di gerarchia; nel secondo, la norma risulterebbe valida, ma non più applicabile alle fattispecie future in coerenza con principio tempus regit actum.
In proposito i diversi ordinamenti hanno fornito risposte differenti, dando vita a scenari istituzionali diversi, ma non antagonistici: infatti, progressivamente le distanze tra gli orientamenti giurisprudenziali si sono attenuate pervenendo a risultati sostanzialmente omogenei.
Il primo scenario —riconducibile essenzialmente all’ordinamento costituzionale tedesco—
ha individuato nell’organo rappresentativo (il Parlamento) il soggetto preposto —almeno
nella fase iniziale— alla modernizzazione della legislazione, rendendola coerente
con le nuove disposizioni costituzionali: l’obiettivo di tale scelta può essere ricondotto
all’intenzione che i singoli giudici si sottraggano alla volontà del legislatore,
non applicando una norma con l’argomentazione che è incostituzionale; inoltre, sembra
prevalente la volontà di assicurare il principio della certezza del diritto, privilegiando
la continuità giuridica dell’ordinamento anteriore
Il secondo scenario è riconducibile all’esperienza italiana, dove la Corte costituzionale,
già in occasione della sua prima sentenza, dinanzi al “silenzio” della Costituzione
sul punto specifico, ha accolto il criterio che in un sistema a Costituzione rigida
le sue disposizioni debbono prevalere su tutte le leggi ordinarie ancora vigenti e
operanti al momento in cui la questione di legittimità costituzionale è posta Così in sentenza n. 1 del 1956.
Una preoccupazione simile ha indotto —alcuni decenni dopo— il Tribunale costituzionale
del Cile ad affermare progressivamente la propria competenza esclusiva a dichiarare
incostituzionali e inapplicabili le norme di legge “siano anteriori o posteriori alla
Costituzione e alle sue riforme”: ciò al fine di superare il crescente contrasto (dottrinale
e giurisprudenziale) tra chi propugnava la disapplicazione delle norme anteriori da
parte dei giudici e chi propendeva per una dichiarazione di incostituzionalità del
giudice costituzionale Vedi sentenza n. 991 del 2009. In dottrina: Enríquez
Il terzo scenario evoca un situazione intermedia ed è riconducibile, innanzitutto,
al contesto spagnolo degli anni immediatamente seguenti alla transizione democratica.
In tale ordinamento non è stato inizialmente possibile conseguire zi un orientamento
omogeneo: alcuni autori distinguevano tra leggi successive alla Costituzione (di competenza
del Tribunale costituzionale) e leggi anteriori (disapplicabili dai giudici comuni) Jiménez Campo y Azcona, 1979: 109.
Tuttavia, nell’esperienza concreta, tale soluzione, oltre a creare disarmonie tra
gli interpreti, non ha conseguito l’obiettivo di valorizzare il ruolo dell’ordine
giudiziario nel favorire una chiara cesura tra il nuovo e il vecchio ordinamento costituzionale:
infatti, nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della carta costituzionale,
le questioni di costituzionalità inerenti alle leggi precostituzionali sollevate dai
giudici furono numericamente limitate e poco significative
Nella prassi il sistema ha, però, progressivamente valorizzato il ruolo centrale del
Tribunale costituzionale, richiamandosi sia all’art. 163 Cost. —che impone all’autorità
giudiziaria di sollevare la questione di costituzionalità dinanzi al Tribunale ogniqualvolta,
nel corso di un processo, ritenga che la norma primaria da applicare sia contraria
alla Costituzione; sia all’art. 35 della Legge organica sul tribunale costituzionale
del 1977 che attribuisce ai giudici la possibilità di scegliere se disapplicare la
norma (con effetto limitato al caso concreto) ovvero sollevare la questione innanzi
al Tribunale costituzione (con effetti erga omnes). A sua volta, la giurisprudenza del Tribunale costituzionale ha circoscritto gli ambiti
di discrezionalità del potere giudiziario precisando che debbono essere sollevate
innanzi al giudice costituzionale soltanto le norme che “no son susceptibles de reconducir
por vías interpretativas al marco constitucional”, introducendo l’obbligo per i giudici
di un’interpretazione conforme a Costituzione Si vedano, ad esempio, le sentenze n. 4 del 1981 e n. 14 del 1981. A proposito dell’interpretazione
conforme nell’ordinamento spagnolo si veda:
In secondo luogo, la possibilità per i Tribunali costituzionali di sviluppare le potenzialità che i diversi ordinamenti hanno attribuito a questi organi —sintetizzabili nel favorire la legalità sostanziale del sistema normativo, assicurare la protezione dei diritti fondamentali e l’equilibrio tra i poteri, esercitare una garanzia dinamica del patto costituente in modo da renderlo in sintonia con le trasformazioni social, economiche e culturale della società— è stata agevolata dalla loro capacità di ampliare progressivamente il parametro del giudizio di costituzionalità. Ciò è avvenuto secondo un percoreso progressivo che si è sviluppato in tre tappe, più di natura temática che cronológica.
Dapprima, si è verificato un sostanziale allineamento dei Tribunali costituzionali
nel riconoscere la giustiziabilità di tutte le disposizioni contenute nel testo della
Costituzionale, superando una tradizionale distinzione tra disposizioni precettive
e meramente programmatiche (che pongono, cioè, obblighi nei confronti del solo legislatore).
La portata precettiva di tutte le disposizioni costituzionali ha coinvolto, soprattutto,
l’ambito dei diritti fondamentali, perché tale orientamento si contrapponeva ad alcune
posizioni della dottrina, della giurisprudenza e a formule ambigue dei testi costituzionali Tra i molti autori si rinvia a:
La prima, ad esempio, aveva distinto tra diritti di libertà —immediatamente azionabili— e diritti “condizionati”, nel senso che il loro godimento dipenderebbe dalla quantità delle risorse disponibili, dalla presenza di un’organizzazione idonea ad assicurare l’erogazione di prestazioni che necessitano di una graduazione e di una meDíazione da parte dei pubblici poteri.
Queste classificazioni trovano un’eco anche nella formulazione di alcuni testi costituzionali,
i quali qualificano i diritti sociali, economici e culturali ricorrendo all’espressione
duties (negli ordinamenti di ispirazione anglosassone), principios rectores (negli ordinamenti di tradizione ispanica) od obiettivi sociali (Svizzera): si tratta
di qualificazioni che sono state interpretate come attribuzione ai poteri pubblici
di un dovere di prestazione, quasi che i diritti sociali e culturali divengano esigibili
nelle forme e nei contenuti individuati dalle politiche sociali intraprese dagli organi
di indirizzo politico dello Stato Per contro, l’art. 1, 3 c. della Legge fondamentale della Repubblica federale di Germania
afferma che i diritti contenuti nel titolo I vincolano il potere legislativo, il potere
esecutivo e quello giurisdizionale in quanto diritto immediatamente efficace.
Anche la giurisprudenza ha considerato in diverse occasioni i diritti sociali come
“diritti finanziariamente condizionati”
In definitiva, la giurisprudenza dei Tribunali costituzionali si è progressivamente
allineata, dopo alcune iniziali titubanze, nel riconoscere che anche i diritti che
costituiscono principios rectores o finalità dello Stato sociale non sono delle mere disposizioni programmatiche, bensì
costituiscono un parametro nei giudizi di legittimità costituzionale
Questo Tribunale sembrava orientato a inserire il diritto alla salute e alla sicurezza
sociale tra quelli a “precettività differita”, la cui garanzia non sarebbe di natura
giurisdizionale, ma istituzionale Sentenza 11 del 2002. Per un’analisi organica della sua giurisprudenza si veda: Espinosa
et alt., 1985: 68.
Sentenza 1417 del 2005. Sentenza n. 8 del 2003. Sentenza n. 8 del 2003. Sentenza n. 4232 del 2004. Sentenza 2480 del 2008.
In secondo luogo, il controllo di costituzionalità si è potuto giovare di un ulteriore
parametro “implicito” rappresentato dai principi costituzionali, cioè danorme non
scritte, ricavabili da un’analisi sistematica del testo costituzionale, che si pongono
“al di sopra” delle singole disposizioni e rappresentano un limite sostanziale per
il legislatore sindacabile dal giudice costituzionale
I principi espressi dalle Costituzioni democratiche scaturite dalle recenti transizioni costituzionali sono tutti riconducibili alla posizione di centralità che occupa la persona umana e alla sua intrinseca dignità. Va, tuttavia, precisato che la persona richiamata dai testi costituzionali non è l’individuo isolato, ma considerato nella sua proiezione sociale: il che amplia il novero dei diritti riconosciuti come fondamentali, comprendendo tutte le manifestazioni che si richiamano al principio personalista ovvero al libero sviluppo della persona. Non casualmente, i preamboli codificati nel nuovo costituzionalismo dell’America latina, i cui preamboli hanno individuato nella forma di Stato democratica l’assetto istituzionale più idoneo per assicurare la primazia della persona umana, le libertà ad essa collegabili e la sua dignità.
Di conseguenza, la giurisprudenza costituzionale ha utilizzato in modo proficuo come parametro di giudizio il principio di eguaglianza e di dignità per rafforzare la garanzia dei diritti sociali e culturali. Il primo consente di offrire a tutti i cittadini quelle parità di opportunità che la società, in ragione della sua struttura, non è in grado di predisporre autonomamente: autorizza, quindi, il legislatore a dettare condizioni di favore per tutti i soggetti che, per motivi economici o sociali, sono ostacolati o impediti nell’esercizio paritario dei diritti costituzionali (la donna rispetto all’uomo, il lavoratore nei confronti del datore di lavoro, gli emarginati rispetto agli strati sociali meglio inseriti).
A sua volta, il principio della dignità dell’individuo codifica un valore universale
che riguarda tutti gli individui indipendentemente dal loro status di cittadinanza e dalla traiettoria del loro percorso di vita Un richiamo generale ed esplicito alla dignità umana ha trovato un importante riconoscimento
in numerose Dichiarazioni internazionali in materia di diritti: dall’art. 1 della
Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 (tutti gli esseri umani nascono
liberi ed eguali nella dignità e nei diritti) all’art. 11.1 della Convenzione americana
dei diritti umani del 1969 (ogni persona ha diritto al rispetto del suo onore ed al
riconoscimento della sua dignità), all’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione (la dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata).
Si può anche richiamare la Convenzione di Oviedo approvata dal Consiglio di Europa
del 1999, la quale individua tra le sue finalità quella di prendere le misure necessarie
per garantire la dignità dell’essere umano.
Ilrichiamo alla dignità della persona è presente nella quasi totalità delle carte
costituzionali dell’America Latina: nell’art. 33 della Costituzione de la Costa Rica
che proibisce “discriminaciones contrarias a la dignidad humana”; nell’art. 1 della
Costituzione del Perù secondo il quale” la defensa de la persona humana y el respecto
de su dignidad son el fin supremo de la sociedad y del Estado”; nell’art. 6 della
Costituzione della Bolivia e nell’art. 2 della Costituzione di Porto Rico, le quali
affermano che la libertà e la dignità della persona sono inviolabili ed è dovere primordiale
dello Stato rispettarle e proteggerle; nell’art. 1 della Costituzione del Brasile,
nell’art. 5 della Costituzione del Nicaragua e nell’art. 3 della Costituzione del
Venezuela, che pongono la dignità della persona umana tra i fondamenti dello Stato
democratico di diritto; nella Costituzione della Colombia, che inserisce, all’art.
1, la dignità umana tra i principi fondamentali dello Stato e riconosce, all’art.
15, il diritto di ogni persona alla propria intimità personale, familiare ed al suo
buon nome; nell’art. 23 della Costituzione dell’Ecuador e nell’art. 68 della Costituzione
dell’Honduras, i quali riconoscono il diritto fondamentale all’integrità personale,
vietando ogni comportamento degradante per la persona; nell’art. 2 della Costituzione
del Guatemala, che garantisce “el desarollo integral de la persona”; nell’art. 1 della
Costituzione del Messico, il quale vieta ogni discriminazione finalizzata ad attentare
contro la dignità umana.
A sua volta, l’esigenza di assicurare la maggior protezione possibile dei diritti umani ha spinto i giudici costituzionali a inserire nel parametro del controllo di costituzionalità anche i Trattati internazionali in materia di diritti umani e la conseguente giurisprudenza delle Corti sovranazionali: tali fonti hanno formato, insieme alle disposizioni costituzionali nazionali, un “bloque de constitucionalidad” al quale i giudici locali si debbono attenere, disapplicando le norme statali contrarie.
I sistemi costituzionali, infatti, risentono della progressiva osmosi che si realizza tra sistemi nazionali e sovranazionali: si tratta di un fenomeno che esprime la tensione universalistica che anima la protezione della persona umana e certifica, in un mondo sempre più integrato, la crisi di autosufficienza degli ordinamenti nazionali. Sotto il profilo sostanziale, tale tendenza favorisce una certa omogeneizzazione dei livelli di tutela, offre al diritto nazionale la possibilità di specificare e di implementare i diritti riconosciuti nei singoli ordinamenti, favorisce la creazione di un diritto “comune” capace di costituire la base unitaria per la tutela dei diritti fondamentali in un determinato ambito geografico.
Rilevanti risultano anche le conseguenze sul piano dell’interpretazione e della configurazione costituzionale dei diritti: basti considerare, ad esempio, che i diritti riconosciuti dalle Costituzioni nazionali debbono essere interpretati anche alla luce delle omogenee disposizioni presenti nelle codificazioni sovranazionali e in conformità con l’interpretazione fornita dalle giurisdizioni internazionali; mentre, nel caso di posizioni soggettive non esplicitamente regolate dal diritto nazionale, i diritti riconosciuti in ambito sopranazionale possono essere direttamente applicabili nell’ordinamento interno.
Infine, un progressivo avvicinamento del significato da attribuire alle disposizioni
dei diversi documenti di rango costituzionale è favorito —sotto il profilo sostanziale—
dalla circolazione dei principi giurisprudenziali e —dal punto di vista delle tecniche
ermeneutiche— dalla necessità di ricercare un’interpretazione conforme. In definitiva,
la progressiva integrazione tra il sistema nazionale e quello sopranazionale fa sì
che la giurisprudenza sovranazionale non rappresenti soltanto “valiosos criterios
hermenéuticos” Si veda la sentenza n. 53/2002 del Tribunale costituzionale spagnolo. A proposito della protezione multilivello dei diritti fondamentali si veda, tra i
molti: Inambito americano si vedano i contributi di: Brewer Carias, 2006, 29;
Di conseguenza, le giurisdizioni nazionali escono da un sistema chiuso di protezione dei diritti, a favore della formazione di una giurisdizione costituzionale dei diritti in cui ciascun giudice deve ricercare un idem sentire in materia di diritti fondamentali.
L’apertura a una prospettiva multilivello ha caratterizzato la giurisprudenza di diversi
Tribunali supremi: la Sala costituzionale della Costa Rica ha motivato con una certa frequenza le sue decisioni
in conformità a quanto stabilito dalla giurisprudenza internazionale. Mentre un orientamento
consolidato della Corte suprema dell’Argentina sostiene che le disposizioni della
Convenzione sono gerarchicamente superiori alle norme interne e vincolanti per i tribunali:
tale vincolo, ad esempio, ha indotto la Suprema Corte a dichiarare incostituzionali
le c. d. leggi di “punto finale” e di “ubbidienza dovuta” (e privato di ogni effetto
giuridico ogni atto fondato sulle stesse) sulla base dell’argomentazione che ogni
regolazione di diritto interno che, invocando ragioni di “pacificazione”, disponga
il conferimento di qualunque forma di amnistia che lasci impunite violazioni gravi
ai diritti umani perpetrate dal regime al quale la disposizione beneficia, è contraria
a chiare ed obbligatorie disposizioni di diritto internazionale
Particolarmente evoluta appare, in proposito, la recente giurisprudenza della Corte Suprema del Messico.
Già prima della riforma costituzionale del 2011, la dottrina aveva interpretato la
formula dell’art. 133 della Costituzione del 1917 nel senso che la Costituzione federale,
le leggi del Congresso e i Trattati internazionali ratificati costituivano un “bloque
de constitucionalidad” al quale i giudici locali si dovevano attenere, disapplicando
le norme statali contrarie
Ad esempio, ha risolto una controversia avente a oggetto la legittimità di una sanzione
amministrativa che imponeva il lavoro obbligatorio, affermando la prevalenza della
normativa internazionale che ammetteva il lavoro obbligatorio solo come conseguenza
di una decisione dell’autorità giudiziaria Nell’Acción de Inconstitucionalidad n. 155 del 2007 ha fatto riferimento sia all’art. 8 del Patto internazionale dei diritti
civili e politici, che all’art. 2 della Convenzione n. 29 dell’organizzazione internazionale
del lavoro e all’art. 6 della Convenzione Interamericana dei diritti umani.
Si trattava della Controversia Constitucional n. 63 del 2011, relativa al dubbio se la revisione della Costituzione di Oaxaca, che
aveva introdotto diversi istituti di democrazia diretta e di partecipazione popolare
—nel caso specifico anche il cabildo abierto— avesse violato il diritto delle popolazioni indigene di essere preventivamente consultate.
La Corte Suprema ha anche introdotto alcune importanti precisazioni a cui gli interpreti del diritto si debbono attenere. Innanzitutto, ha distinto tra i contenziosi internazionali in cui il Messico è parte processuale e quelli in cui non è direttamente coinvolto: nel primo caso, la giurisprudenza della Corte interamericana deve considerarsi vincolante, mentre nel secondo la ratio decidendi può essere utilizzata come un criterio orientatore.
Inoltre la Corte, esercitando una funzione lato sensu didattica, ha precisato i procedimenti logici che i giudici debbono sviluppare nella soluzione delle diverse fattispecie, distinguendo tra l’ interpretazione conforme in senso ampio (la normativa va interpretata in modo compatibile con i diritti costituzionali e quelli tutelati a livello interamericano), l’interpretazione conforme in senso stretto (tra diversi possibili significati di una disposizione si deve utilizzare quella conforme con la Costituzione e il Trattato Interamericano), mentre nelle situazioni in cui sia impossibile addivenire a una interpretazione conforme, i giudici debbono risolvere la questione de qua disapplicando la norma di legge.
Nella tesi 21 del 2011 la Corte Suprema ha affrontato l’interrogativo giuridico se la valutazione della compatibilità di una legge con un Trattato internazionale configurasse una “questione di costituzionalità” (e pertanto era possibile un amparo di revisione) ovvero una “questione di legalità”, che avrebbe escluso l’esercizio di tale competenza: a suo avviso la questione deve essere risolta facendo riferimento alla materia oggetto del processo, nel senso che se essa coinvolge un diritto fondamentale si è in presenza di una questione di costituzionalità che potrà essere risolta in via definitiva dalla Corte Suprema, in caso contrario si è dinanzi a una questione di legalità, per cui le decisioni dei Tribunales Colegiados sono definitive e non impugnabili.
Da ultimo, la possibilità per i Tribunali costituzionali di ampliare le forme di tutela dei diritti fondamentali è stata favorita dalla diffusione di specifici istituti finalizzati a sanzionare l’inerzia del legislatore o delle pubbliche amministrazioni: in proposito, si registra un diverso orientamento tra gli organi di giustizia costituzionale europei e latinoamericani.
I primi —con alcune eccezioni come nel caso del Portogallo— In cui il Tribunale costituzionale adotta una decisione non vincolante, in quanto
si limita a portare a conoscenza dell’organo competente la situazione di incostituzionalità
prodotta dalla sua inerzia.
In Costa Rica, ad esempio, si può ricorrere davanti alla Sala Constitucional se la natura della omissione produce effetti diretti o viola interessi diffusi che
interessano la comunità nel suo complesso; in Perù l’art. 200.6 Cost. ha introdotto
la acción de cumplimiento da attivare ogni volta che i diritti costituzionali vengono violati a causa di omissione
di actos de cumplimiento obligatorio. La Costituzione dell’Ecuador, all’art. 436.10, attribuisce alla Corte costituzionale
la competenza a dichiarare l’incostituzionalità per omissione nei confronti delle
autorità pubbliche e degli organi dello Stato che non intervengono nei tempi previsti
dalla Costituzione o in quello ritenuto ragionevole dalla Corte costituzionale. Mentre
in Venezuela la Sala Constitucional del Tribunale Supremo può sia imporre al legislatore un tempo entro cui intervenire,
sia indicare i caratteri generali dell’intervento Vedi, con riferimenti specifici all’America latina:
Infine, l’ordinamento costituzionale della Colombia differenzia le situazioni di mancata
attuazione di una norma o atto amministrativo (acción de cumplimiento) dai casi in cui le omissioni assurgano a una particolare rilevanza di natura costituzionale
(acción de tutela): nel primo caso è competente l’autorità giudiziaria; nel secondo, invece, la competenza
spetta alla Corte costituzionale che, nella sua giurisprudenza, ha considerato omissione
legislativa “todo incumplimiento por parte del legislador de un deber de acción expresamente
señalado por el constituyente” Sentenza del 16 ottobre 1996, C-543/96.
Nelle fasi di democrazia “matura” o consolidata l’oggetto dei giudizi di legittimità costituzionale non è più costituito dalla legislazione anteriore alla Costituzione, ma da leggi approvate recentemente. Questa premessa, apparentemente scontata, modifica profondamente il ruolo e l’azione della giustizia costituzionale: infatti, la giurisprudenza dei Tribunali costituzionali riflette, come uno specchio, la realtà sociale, con le sue contraddizioni e trasformazioni. Di conseguenza, aumenta il tasso di “politicità” delle decisioni, dal momento che i giudici debbono compiere un delicato lavoro di ponderazione, ricercando di volta in volta un equilibrio ragionevole tra le norme in gioco e tra queste e i principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Attraverso il loro lavoro interpretativo i giudici costituzionali diventano artefici dinamici della integrazione sociale e garanti dell’unità sostanziale dell’ordinamento.
Attualmente, poi, è aumentata in misura considerevole la complessità delle questioni che i giudici debbono affrontare, dovendo compiere valutazioni non solo di stretto diritto, ma anche di natura scientifica, etica, economica; così come appare complessa la ponderazione tra i diversi diritti in potenziale conflitto —tra la ricerca scientifica e i valori etici di un individuo, tra la libertà individuale e l’opinione pubblica. Altre questioni difficili da affrontare riguardano l’impatto che i processi di internazionalizzazione economica e finanziaria possono produrre sulla qualità dei sistemi nazionali di welfare e sulla fruizione dei diritti sociali.
Inoltre, il rapporto tra norme costituzionali e ordinamento si modifica: se durante le transizioni democratiche il giudice è chiamato a permeare l’ordinamento giuridico dei nuovi valori costituzionali, nei periodi di consolidamento democratico, invece, nella sua qualità di interprete privilegiato della Costituzione, deve trasformare le disposizioni costituzionali in un corpo vitale, in grado di porre il diritto in sintonia con le trasformazioni sociali, economiche e culturali.
Questa nuova funzione della giustizia costituzionale ha influito sulle tecniche di
interpretazione, facendo oscillare il pendolo da un approccio di tipo originalistico
a una progressiva adesione a teorie più dinamiche, che si ispirano all’idea di una
living Constitution: la quale, fondandosi su di una distinzione concettale tra disposizione e norma, ha
consentito di considerare il testo costituzionale “un living tree capable of growth
and expansion within its natural limits”
Come è noto, le teorie “originaliste” furono elaborate nella fase immediatamente seguente
all’entrata in vigore della Costituzione degli Stati Uniti d’America: lo stesso Jefferson
aveva affermato che la Costituzione doveva essere interpretata d’accordo con l’intendimento
“chiaro del popolo” degli Stati Uniti al momento della sua adozione
Molti autori hanno criticato tale impostazione sulla base di due fondamentali argomenti:
per un verso, non è agevole stabilire le reali intenzioni collettive di chi ha approvato
gli articoli costituzionali —specie se essi sono assai risalenti nel tempo—; per un
altro verso, non sembra corretto utilizzare le originarie intenzioni dei costituenti
per affrontare problemi contemporanei, inediti rispetto al momento genetico della
fase costituente A questo proposito, è emblematico evidenziare l’atteggiamento della Corte Suprema
del Canada, la quale si è chiaramente differenziata dalle teorie nordamericane dell’
“original intent”, ricordando che il Costitution Act ha il compito di guidare e servire il Canada per lungo tempo, accompagnando il processo
di sviluppo delle istituzioni: di conseguenza la Costituzione è redatta con lo sguardo
verso il futuro e, quindi, deve essere capace di “growth and developpement over time
to meet new social, political and historical realities often unimagned by its framers”.
In proposito, si veda:
Questo nuovo approccio ha inciso sia sul piano della teoria dell’interpretazione, sia sulle relazioni che intercorrono tra i diversi soggetti istituzionali chiamati a sviluppare “politiche” di attuazione costituzionale. Infatti, le Costituzioni, grazie alla struttura delle loro disposizioni e alla capacità interpretativa dei Tribunali costituzionali possono garantire una sintesi tra le norme e i valori contemporanei, tra il diritto e la storia: mentre il giudice costituzionale può porre il testo della Costituzione in sintonia le esigenze della contemporaneità, senza che si renda necessaria una sua modifica formale.
La giustizia costituzionale non è un potere isolato, estraneo al circuito delle decisioni politiche, ma interagisce, attraverso la propria giurisprudenza, con gli altri attori del sistema costituzionale; tale dialogo si manifesta sia adeguando le tecniche interpretative alle fattispecie concrete, sia instaurando una particolare relazione con il legislatore e la giurisdizione ordinaria.
Con riferimento alle tecniche decisionali, i Tribunali hanno affrontato la complessità
delle questioni e la pluralità delle norme da contemperaresuperando l’alternativa
tradizionale tra sentenze di accoglimento e di rigetto: infatti, i giudici costituzionali
debbono spesso valutare la ragionevolezza delle scelte legislative e contemperare
in modo equilibrato interessi e diritti contrastanti; così come non possono esimersi
dal soppesare gli effetti delle proprie pronunce sull’ordinamento giuridico Sul principio di ragionevolezza:
Alcune decisioni sono funzionali a limitare gli effetti reatroattivi delle decisioni di incostituzionalità per ragioni di sicurezza giuridica (sentenze di illegittimità sopravvenuta); così come altre si propongono di ritardare gli effetti di una sentenza di incostituzionalità e consentire al Parlamento di intervenire con una nuova disciplina della materia o alle pubbliche amministrazioni di organizzarsi per meglio affrontare gli effetti della sentenza (sentenze di incostituzionalità differita). La ratio di questi tipi di decisione può essere individuata nell’intento di evitare un vuoto normativo che potrebbe generare gravi conseguenze alla coerenza dell’ordinamento giuridico.
Particolarmente diffuso è anche il ricorso alle dichiarazioni di incostituzionalità
pro futuro sia in Europa —da parte del Tribunale costituzionale tedesco, della Corte costituzionale
italiana e dal Tribunale costituzionale spagnolo
Sul piano giurisprudenziale si segnala l’orientamento della Corte costituzionale colombiana,
la quale ha giustificato il ricorso a tali tipi di sentenze con la circostanza che
l’annullamento di una norma può produrre, in determinate fattispecie, effetti incostituzionali
o la lesione di altri principi costituzionali; mentre il Tribunale costituzionale
del Perù ha adottatato sentenze in cui differisce gli effetti temporali della sua
decisione, riconoscendo nel legislatore l’organo più idoneo a porre rimedio al vulnus di incostituzionalità
Diverso è, infine, il modo in cui il Tribunale costituzionale austriaco ha modulato
gli effetti delle proprie decisioni: nella norma, le sentenze di costituzionalità
hanno effetto abrogativo e producono effetti exnunc, mentre l’effetto retroattivo riguarda soltanto la questione che ha dato origine alla
decisione del Tribunale; tuttavia, in alcune fattispecie, nel rispetto del principio
generale di eguaglianza, tale effetto ha interessato anche tutti i giudizi in cui
la magistratura ha utilizato la norma oggetto della decisione
Infine, i tipi di sentenze che producono effetti normativi possono essere classificati a seconda che esplicitino delle norme inespresse o introducano nuove norme.
Rientrano nel primo caso le sentenze interpretative che consentono al Tribunale costituzionale di individuare tra i significati ricavabili da una disposizione quelli che risultano compatibili o incompatibili con la Costituzione: in tal modo, il giudice costituzionale fa riferimento al principio di conservazione del diritto o di presunzione di costituzionalità degli atti normativi, evitando di annullare testi normativi che possono essere interpretati conformemente alla Costituzione.
Introducono, invece, norme “nuove” le sentenze di tipo additivo con le quali una disposizione è dichiarata incostituzionale in quanto non prevede una o più norme: in questo caso, il giudice delle leggi si trasforma in creatore di norme giuridiche al posto del Parlamento: tuttavia, tale sostituzione è giustificata dal fatto che, in alcune fattispecie, l’inserimento di una norma mancante costituisce l’unico modo per ripristinare la costituzionalità violata. Infatti, i Tribunali costituzionali ricorrono generalmente all’uso delle sentenze di tipo “additivo” per migliorare la protezione sostanziale dei diritti sociali o per evitare effetti discriminatori lesivi del principio di eguaglianza.
Queste tecnica, utilizzata in Europa, ha riscontrato un certo successo in America latina. A titolo di esempio possiamo richiamare alcune sentenze della Corte costituzionale colombiana relative a disposizioni legislative che punivano con sanzioni economiche le persone che non presentavano puntualmente la propria dichiarazione dei redditi senza “permitir a la persona demostrar que el no cumplimiento del deber de presentar la declaración tributaria no le es imputable, por ser consecuencia de hechos ajenos a la voluntad, como el caso fortuito y la fuerza mayor” (sentenza C-690 del 1996), oppure che mancavano di una regolamentazione sistematica degli scioperi nei servizi pubblici essenziali (sentenza C-473 del 1994).
A sua volta, il Tribunale costituzionale della Bolivia ha dichiarato l’incostituzionalità
per omissione di alcune disposizioni del Codice della sicurezza sociale che provocavano
una discriminazione irrazionale e non proporzionale per motivi di sesso Sentenza n. 62 del 2003. Sentenza del 1 dicembre del 2003.
La duttilità delle tecniche interpretative utilizzate dai Tribunali costituzionali ha accresciuto la rilevanza del diritto giurisprudenziale, che interviene in funzione integrativa negli spazi lasciati liberi dalle fonti scritte.
Difficilmente l’interpretazione costituzionale è puro accertamento di norme, dal momento
che le Costituzioni contengono spesso enunciati linguistici suscettibili di una pluralità
di significati; di conseguenza, la frontiera “mobile” che separa l’applicazione dalla
creazione del diritto non è rigida e comporta innovazioni nella sfera del diritto.
Non a caso, alcuni ordinamenti hanno formalmente codificato il valore normativo della
giurisprudenza inserendola tra le fonti legali del diritto In Spagna, ad esempio, la giurisprudenza è annoverata tra le fonti legali del diritto
(“completerá l’ordenamiento jurídico”).
Per i Tribunali costituzionali non è stato agevole conseguire un equilibrio tra le due “anime” che convivono all’interno della giustizia costituzionale: quella politica e quella giurisdizionale. L’“anima” giurisdizionale si manifesta soprattutto nei confronti delle relazioni che i giudici costituzionali stabiliscono attraverso le proprie sentenze con l’ordine giudiziario: per un verso, nei confronti dei giudici a quibus —che sollevano, cioè, una questione di costituzionalità ovvero presentano un ricorso di amparo—, per un altro verso, con gli altri giudici, i quali debbono tener conto della giurisprudenza costituzionale allorchè debbono applicare in un caso concreto una determinata norma. In altri termini, si determina un continuum tra l’attività interpretativa dei giudici costituzionali e quella dei giudici comuni.
Nei rapporti con gli altri giudici, i Tribunali debbono “fare i conti” con la loro
natura di giudici sui generis, i quali, pur decidendo sulla base di regole giuridiche, non sono del tutto estranei
al circuito politico —istituzionale e svolgono un sindacato (di costituzionalità)
che è parallelo a quello di legittimità proprio dei giudici ordinari. Inoltre, nel
valutare la conformità alla Costituzione delle norme di legge, non possono trascurare
l’impatto che le loro determinazioni producono non solo sull’ordinamento giuridico,
ma anche nei rapporti con il Parlamento e il potere giudiziario. Come è stato efficacemente
affermato, con la giustizia costituzionale si è introdotto “un terzo incomodo tra
Potere legislativo e Potere giudiziario”
Dopo iniziali contrasti con le Corti supreme, si è in generale pervenuti a un ragionevole
accomodamento, individuando regole condivise —rientranti, a nostro avviso, tra le
convenzioni costituzionali—
Inoltre, i Tribunali costituzionali hanno progresivamente individuato peculiari tecniche
interpretative, nuovi tipi di sentenze (le sentenze interpretative di rigetto e quelle
correttive) e fissato alcuni criteri per ripartire i rispettivi compiti (in particolare,
le nozioni di diritto vivente e di interpretazione conforme a Costituzione)
Le sentenze interpretative di rigetto regolano l’ambito all’interno del quale può manifestarsi l’autonomia interpretativa dei giudici comuni: esse, infatti, individuano, tra i possibili significati normativi che una disposizione può assumere, quello incostituzionale lasciando ai giudici la libertà di applicare tutti gli altri possibili significati. Con le sentenze correttive, a loro volta, i Tribunali costituzionali non decidono la questione sollevata dal giudice a quo, invitandolo a risolvere il proprio dubbio di incostituzionalità facendo ricorso a una interpretazione della disposizione a quo differente da quella iniziale. In questo caso, i giudici costituzionali affidano a quelli ordinari il compito di risolvere il contenzioso attraverso un’interpretazione secundum Constitutionem, lasciando intendere che ci si deve rivolgere al giudice costituzionale solo in caso di impossibilità di risolvere la questione ricorrendo a un’intepretazione costituzionalmente corretta.
Inoltre, a mano a mano che si affinava il dialogo tra le giurisdizioni, si sono precisati
meglio i rispettivi ambiti di competenza con l’obiettivo di assicurare i principi
di sicurezza giuridica e di eguale applicazione del diritto. A tal fine l’esperienza
comparata sembra aver raggiunto un punto di equilibrio attorno ad alcune acquisizioni
convenzionalmente accettate: ad esempio, deve considerarsi riservata ai giudici costituzionali
l’individuazione del significato delle disposizioni di rango costituzionale (il parametro),
mentre è attribuita alla giurisdizione ordinaria la competenza a determinare il c.
d. “diritto vivente”, cioè il significato da attribuire alle fonti primarie alla luce
di un’ interpretazione giurisprudenziale consolidata e confermata dai Tribunali supremi Si veda, ad esempio, la sentenza n. 356 del 1996 della Corte costituzionale italiana.
In dottrina: Crisafulli, 1956: 929;
La ricerca di una interpretazione compatibile con le disposizioni costituzionali è un’operazione logica che compete a tutti gli operatori giuridici, ma in particolar modo ai giudici in quanto interpreti qualificati del diritto: utilizzando la formula dell’art. 5, 3 c della legge organica spagnola sul potere giudiziario, si può affermare che i giudici possono sollevare la questione di incostituzionalità di una determinata disposizione soltanto “cuando por vía interpretativa no sea posible la acomodación de la norma al ordenamiento constitucional”. Tuttavia, la funzione giurisdizionale deve, comunque, svolgersi nell’ambito della doctrina dei Tribunali costituzionali, le cui sentenze costituiscono delle vere fonti del diritto.
Nei confronti del legislatore, invece, i giudici costituzionali hanno, in genere,
manifestato la preoccupazione di non interferire con la discrezionalità del Parlamento,
dal momento che il controllo di legittimità costituzionale deve escludere ogni sindacato
sull’uso del potere discrezionale del Parlamento e arrestarsi dinanzi alle c. d. “political
questions”: si tratta, in altri termini, di tracciare un limite tra discrezionalità
politica e illegittimità costituzionale Sui rapporti con il legislatore:
Talvolta, dovendo affrontare questioni controverse e dotate di un elevato tasso di
politicità, hanno preferito che il vizio di costituzionalità fosse eliminato direttamente
dal Parlamento con una nuova disciplina della materia, senza creare “vuoti” nel sistema
normativo: in questi casi, le sentenze (attraverso obiter dicta) evidenziano i limiti della normativa impugnata, senza —però— annullarla. A
tal proposito, un’autorevole dottrina ha utilizzato la nozione di reparación mediata, nel senso che il vizio di incostituzionalità viene rilevato dal giudice costituzionale,
ma sanato dal successivo intervento del Parlamento, cui compete eliminare il vizio
con una diversa disciplina della materia
Il dialogo con il legislatore diviene, poi, più sofisticato nel caso delle c. d. sentenze
additive di principio, ove i termini della collaborazione con il legislatore risultano
più precisi: il Tribunale costituzionale indica i criteri a cui bisogna rifarsi per
evitare un vizio di incostituzionalità; al legislatore, invece, è affidato il compito
di determinare, nella sua discrezionalità politica, i modi con cui dare attuazione
agli indirizzi del Tribunale e trovare le relative coperture economiche. Le sentenze
di indirizzo sono anche utilizzate nei casi in cui l’incostituzionalità è generata
da una omissione o da una carenza della disciplina contenuta nella disposizione oggetto
del giudizio
L’ attività “monitoria” e di “indirizzo” dei giudici costituzionali è particolarmente
diffusa. A titolo esemplificativo, si può evidenziare che Tribunale costituzionale
tedesco ha introdotto una gamma assai articolata di strumenti perché il legislatore
sani situazioni di incostituzionalità: in alcuni casi, precisa che la normativa è
“ancora” costituzionale, ma suggerisce di revisionare la materia (in genere fissando
anche un limite temporale); mentre in altre situazioni ha accompagnato il monito al
legislatore con l’indicazione esemplificativa dei punti su cui intervenire
Una vasta eco ha suscitato in Italia una delle prime sentenza “monitorie” in cui il
giudice costituzionale, in materia di sistema radiotelevisivo, ha dichiarato illegittimo
non tanto il monopolio in sé, quanto le modalità con le quali esso era regolato da
legislatore ed esercitato, provvedendo —altresì— a evidenziare i requisiti che avrebbe
dovuto possedere la nuova disciplina della materia Come l’attività di indirizzo del Parlamento, l’esigenza di assicurare l’obiettività
e la completezza dell’informazione, la garanzia del pluralismo in modo da esprimere
le diverse istanze sociali, politiche, culturali e religiose della società. Vedi sentenza
n. 225 del 1974.
In Spagna, a sua volta, la sentenza n. 36 del 1991 ha ricordato la imperiosa necessità di rivedere la disciplina a tutela dei minore chiedendo al legislatore di tener conto sia della giurisprudenza costituzionale, sia della Convenzione internazionale dei diritti del minore. Differentemente, nella sentenza n. 96 del 1996 in materia di enti di credito, il Tribunale costituzionale ha riconosciuto al legislatore un’ampia discrezionalità di configurazione normativa per riordinare la disciplina della materia nelle parti dichiarate non conformi alla Costituzione; mentre nella sentenza 45 del 1989 ha precisato al Parlamento che “esta tarea legislativa… debe ser llevada a término dentro de un plazo de tiempo razonable”.
In America latina, infine, il Tribunale costituzionale cileno, dopo aver segnalato
che alcuni punti specifici della materia non risultano sufficientemente regolati,
ha invitato a tener presente “la necesidad de complementar, oportunamente, esta ley
con las materias indicadas en los considerandos 11, 18, 19 y 25 de esta sentencia” Sentenza del 5 aprile 1988.
Se negli ultimi decenni del secolo scorso le tecniche interpretative adottate dai giudici costituzionali hanno decisamente superato l’impostazione originaria del controllo accentrato di costituzionalità austriaco, nel corso del xxi secolo sembra emergere un’ulteriore tendenza, che accentua la “politicità” del ruolo dei Tribunali costituzionali e amplia il loro coinvolgimento in contenziosi che inevitabilmente richiedono delle valutazioni di natura politica. Uno dei principi che il pensiero costituzionale liberale aveva individuato per introdurre uno spartiacque tra sindacato di merito e controllo di costituzionalità —il limite, cioè, delle political questions— presenta alcune crepe, nonostante la vigenza nelle Costituzioni di disposizioni che richiamano la separazione tra legislazione e giurisdizione: si pensi, ad esempio, all’art. III della Costituzione degli Stati Uniti d’America secondo cui la funzione giurisdizionale deve riguardare solo i casi di stretto diritto e di equità; oppure all’art. 28 della legge n. 87 del 1953 il quale precisa che il controllo della Corte costituzionale italiana esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento.
D’altre parte —nella realtà contemporanea— questo confine si presenta abastanza poroso, dal momento che la linea che separa la politica dalla giurisdizione non è statica e il rispetto del confine dipende anche dall’attitude dei giudici costituzionali al self restraint. Inoltre, il rapporto della giustizia ostituzionale con le political questions è bivalente: per un verso, comprende la tendenza dei Tribunali costituzionali a decidere su questioni che prima si ritenevano non giustiziabili; per un altro verso, esprime la volontà dei poteri dello Stato di rendere tali organi partecipi di percorsi istituzionali di indubbia valenza politica.
A tale fine può essere utile richiamare due esperienze: la prima, in America latina, ha avuto ad oggetto il ruolo assunto dalla Corte costituzionale della Colombia nell’implementare e raccordare con le disposizioni costituzionali gli atti adottati dal Governo e dal Parlamento per porre termine alla guerriglia e alla forte instabilità del paese; la seconda, in Europa, si richiama alla rilevanza della giurisprudenza costituzionale nell’orientare il processo indipendentistico avviato dalla Comunità autonoma della Catalogna.
Con riferimento alla Colombia, la legge n. 975 del 2005 (conosciuta come la Ley de Justicia y Paz) recepì il negoziato tra il Governo e i gruppi paramilitari con l’obiettivo di favorire
la smilitarizzazione dei gruppi paramilitari colombiani. Essa fondava la sua ratio sull’art. 22 Cost. in base al cale la pace era considerata un diritto e un dovere
de obligatorio cumplimento e la sua attuazione necessitava di una delicata ponderazione tra diritti e principi
costituzionali (diritto alla pace, riconciliazione, diritti al risarcimento, diritti
alla verità e alla giustizia). La stessa Corte costituzionale ritenne necessario ottenere
un equilibrio tra la necessità politica di conseguire la pace e l’esigenza costituzionale
di proteggere i diritti delle vittime, evitando che si generasse una sorta di impunità
di fatto Vedi, sentenza 370 del 2006.
Nel corso del processo di pacificazione la giurisprudenza costituzionale ha perseguito
—in generale— una linea di garantismo giurisdizionale che ha cercato di riequilibrare
una visione plebiscitaria della democrazia portata avanti dal governo con il sostegno
del Parlamento: siffatto indirizzo si è manifestato soprattutto in tre momenti importanti
della vita politica della Colombiana presi in considerazione con le sentenze n. 551
del 2003 e n. 1040 del 2005 Ruiz-Rico Ruiz, 125; Uprimny, 2006; Molinares Hassan, 2013: 29.
La prima sentenza aveva a oggetto il referendum proposto dal Governo, che aveva ad
oggetto, una molteplicità di quesiti eterogenei —che spaziavano, ad esempio, dal limitare
l’esercizio dei diritti politici per i corrotti alla penalizzazione del consumo di
sostanze allucinogene, dalla limitazione salariale per dipendenti pubblici alla previsione
di nuove risorse per l’educazione e la sanità. In via generale, il giudice costituzionale
evidenziò la pericolosità di una consultazione popolare multitemática, dal momento che votare “in blocco” le singole proposte di riforma per trasformare
l’istituto referendario in uno strumento plebiscitario, suscettibile di conculcare
la libertà dell’elettore. Nella stessa sentenza, la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità
delle note introduttive al quesito dal momento la loro formulazione mancava di Neutralità
e avrebbe condizionato la libertà di scelta degli elettori Il testo della nota introductoria: “para proteger la sociedad colombiana, particularmente su infancia y su juventud,
contra el uso de cocaína, heroína, marihuana, bazuco, éxtasis y cualquier otro alucinógeno,
¿aprueba usted el siguiente artículo?”.
Con la decisione 1040 del 2005 la Corte costituzionale, inoltre, ha riconosciuto la
legittimità della revisione costituzionale (che disciplinava i modi di elezione del
Presidente) approvata dal Parlamento: tuttavia, ha precisato come fosse necessario
introdurre, tramite un’apposita legge, garanzie effettive per tutti i candidati. Tale
sentenza è interessante in quanto il giudice costituzionale, nonostante la mancanza
di limiti espliciti alla revisione costituzionale, ha ricavato da un’interpretazione
estensiva dell’art. 241.1 della Costituzione il divieto di modificare il testo della
Costituzione in un suo elemento essenziale: altrimenti, il legislatore eserciterebbe
un potere costituente invece che costituito Tale articolo, dopo aver premesso che spetta alla Corte ostituzionale la tutela dell’integrità
e delle supremazia della Costituzione, le attribuisce la competenza a decidere sulle
richieste di incostituzionalità presentate dai cittadini contro atti di revisione
della Costituzione per vizi relativi al procedimento.
D’altra parte, il ruolo direttamente “politico” svolto dalla Corte costituzionale in questa travagliata fase della vita politica e sociale in Colombia emerge con chiarezza dalle stesse parole del Presidente della Corte, ad avviso del quale “la Corte hace un balance muy positivo de su rol en el proceso de paz, donde nos dieron una especie de rol como tercera Cámara, además de la Cámara de Representantes y del Senado, para revisar la implementación de ese proceso, que implicó un trabajo muy serio y responsable”.
Se la Corte costituzionale della Colombia è intervenuta sulla sostanza del processo di pacificazione con la finalità di ricondurlo ai principi dello Stato di diritto e alla tutela dei diritti fondamentali, il Tribunale costituzionale spagnolo ha svolto una importante funzione di contrasto del processo secessionistico della Comunità catalana a salvaguardia della natura unitaria dello Stato.
Il tema dell’ammissibilità costituzionale dei processi di secessione ha inizialmente
coinvolto ordinamenti di tipo federale ove il riconoscimento agli Stati membri di
un “diritto” alla secessione ha lasciato progressivamente il campo alla individuazione
di idonee procedure negoziate tra i soggetti istituzionali che compongono la Federazione Si tratta, ad esempio, dei criteri indicati dalla Corte suprema del Canada che, nell’esercizio
della sua competenza di reference, ha precisato che le aspirazioni alla secessione debbono, innanzitutto, essere certificate
(attraverso un referendum) da una chiara maggioranza dei cittadini di quel territorio
(clear majority), quindi, incanalate nell’alveo di procedure democratiche (good faith negotiations), condivise e giuridicamente regolate. Sull’influenza dell’esperienza canadese nel
diritto comparato:
Più recentemente, il dibattito sulla necessità di tali procedure ha coinvolto anche
sistemi regionali di common law: è il caso, ad esempio, del Regno Unito che ha affrontato le istanze di secessione
cercando di armonizzare il principio costituzionale della sovereignty of Parliament con la consapevolezza che la decisione sostanziale debba comunque essere assunta direttamente
dai cittadini dei territori interessati, sulla base di un processo politico non unilaterale,
ma concordato Si consideri l’Accordo di Belfast del 1998 tra Regno Unito e Irlanda del Nord che
menziona il diritto all’autodeterminazione tramite referendum degli abitanti nell’isola
irlandese; mentre l’Accordo di Edimburgo del 2012 conferma questa regola costituzionale,
riconoscendo che il futuro della Scozia all’interno del Regno Unito debba essere deciso
dalla popolazione scozzese attraverso un referendum.
La particolarità del “caso” spagnolo è individuabile nella circostanza che non si sia verificato alcuno dei presupposti idonei ad avviare un “leale” processo di allentamento dei vincoli unitari: non solo è mancata una good faith negotiation, ma anche una “chiara maggioranza” a favore del processo di indipendenza espressa attraverso un referendum regolarmente convocato.
Il Tribunale costituzionale spagnolo ha dovuto affrontare essenzialmente tre tipi di questioni: l’uno inerente all’esistenza giuridica di un diritto del popolo catalano a decidir nella sua qualità di soggetto politico e giuridico sovrano; l’altro avente a oggetto i possibili modi di avvio di un iter politico finalizzato alla creazione di uno Stato indipendente e repubblicano. Il terzo, infine, concerneva l’ammissibilità di convocare con una legge della Comunità autonoma una consultazione popolare sul futuro politico della Catalogna.
Con la sentenza n. 42 del 2014, il giudice costituzionale spagnolo ha ribadito il
principio secondo cui la titolarità di un potere sovrano spetta esclusivamente alla
Nazione spagnola, non al popolo di una Comunità autonoma; di conseguenza, non è possibile
convocare unilateralmente un referendum di autodeterminazione “para decidir sobre
su integración en España”. A sua volta, la sentenza n. 259 del 2015 ha dichiarato
l’illegittimità di una risoluzione del Parlamento regionale in quanto “en el Estado
constitucional, el principio democrático no puede desvincularse de la primacía incondicional
de la Constitución”: di conseguenza, secondo il Tribunale costituzionale la volontà
di indipendenza dovrebbe essere perseguita senza una “rottura” unilaterale del patto
costituente, bensì seguendo le procedure legali di revisione della Costituzione Precisando che “la Constitución no es lexperpetua, sino que cabe la revisión total,
y que la pueden solicitar las asambleas de las CCAA”. Si veda:
Queste pronunce del giudice costituzionale non sono state in grado di interrompere
il processo politico-istituzionale concepito dagli indipendentisti catalani: cosicché
il Tribunale costituzionale è intervenuto, negli anni successivi, con ulteriori 32
decisioni, utilizzando tutta la gamma di competenze processuali previste dalla Legge
organica sul Tribunale costituzionale: dai ricorsi di costituzionalità ai conflitti
di competenza, dall’impugnazione di disposizioni senza forza di legge a di risoluzioni
delle Comunità autonome, da incidenti di esecuzione di sentenze costituzionali ai
ricorsi di amparo De Miguel Bárcena, 2018: 133.
In tal modo il Tribunale costituzionale ha sviluppato con flessibilità il proprio
orientamento di politica costituzionale, stigmatizzando sia una chiara violazione
delle procedure parlamentari previste a garanzia delle minoranze, sia l’adozione di
comportamenti lesivi di diritti dei cittadini catalani Sentenze n. 114, n. 121, n. 124, n. 139 del 2017. Oltre agli autori sopra richiamati:
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